inquinanti atmosferici

Inquinanti atmosferici e mortalità, i dati Inail

L’esposizione ad inquinanti atmosferici provoca effetti sulla salute con rilevanti impatti sulla mortalità e morbosità della popolazione. L’effetto combinato di inquinanti in aria, nell’ambiente e quelli presenti negli ambienti indoor, inclusi i luoghi di lavoro, si stima che possa causare circa 7 milioni di morti premature nel mondo (Organizzazione Mondiale della Sanità).

Recentemente l’OMS ha aggiornato i valori guida di concentrazione degli inquinanti atmosferici, riducendo i livelli di riferimento per la salvaguardia della salute della popolazione.

In Italia numerosi studi hanno stimato l’effetto sulla salute della popolazione dovuta ad esposizioni ad inquinanti atmosferici, analizzando le grandi aree metropolitane, ma non erano finora disponibili informazioni a livello nazionale che includano i comuni più piccoli spesso privi di indagini ambientali specifiche.

Alcuni dati rilevano che i lavoratori occupati in settori a rischio per malattie respiratorie, hanno un incremento di rischio di circa lo 0,5% rispetto ai soggetti non esposti.

Una ricerca Inail analizza l’associazione tra inquinanti atmosferici, e la mortalità causa-specifica.


Rischi da inquinanti atmosferici, l’analisi scientifica condotta nel progetto collaborativo

La ricerca, condotta nell’ambito del progetto Uso di BIG data per la valutazione degli Effetti sanitari acuti e cronici dell’inquinamento atmosferico nella Popolazione Italiana (BIGEPI), promosso da Inail attraverso il bando di ricerche in collaborazione (BriC) 2019, è stata pubblicata nei giorni scorsi sulla rivista scientifica Environmental Research.

Lo studio ha analizzato i decessi giornalieri in tutti i comuni d’Italia nel triennio 2013-2015, per diverse cause (naturali, cardiovascolari, respiratorie, cerebrovascolari, metaboliche, mentali e nervose), mettendole in relazione con l’esposizione giornaliera ad inquinanti atmosferici della popolazione residente nei suddetti comuni.

Tali dati sono stati analizzati con metodi statistici per determinare l’associazione tra rischio di mortalità per una determinata causa e l’esposizione a polveri sottili e biossido di azoto.

L’analisi ha permesso di individuare una associazione tra la mortalità giornaliera per cause naturali, cardiovascolari, cardiache, respiratorie e nervose con l’esposizione giornaliera alle polveri sottili, così come una associazione tra le morti per cause respiratorie e metaboliche con l’esposizione a biossido di azoto.

L’approfondimento dello studio per livelli di urbanizzazione ha inoltre permesso di evidenziare che le suddette associazioni non si presentato solo per le aree urbanizzate, oggetto dei precedenti studi, ma anche nelle aree suburbane e rurali, confermando l’effetto sulla salute anche a basse concentrazioni, senza nessuna soglia di sicurezza per l’esposizione. Infine sono stati stimati effetti sulla mortalità per cause naturali e cardiovascolari per la popolazione più anziana.

I dati di mortalità utilizzati nello studio

Sono stati utilizzati i dati di mortalità causa-specifica collezionati dagli archivi ISTAT. Circa 1,8 milioni di casi per morte naturale sono stati inclusi nello studio, di cui 680mila per cause cardiovascolari, 477mila cardiache e 131mila respiratorie. Tali dati forniscono oltre alla causa di morte, la data dell’evento, il comune di residenza dell’individuo e la sua età al decesso. 

I rischi individuati

La ricerca ha individuato che ogni aumento di 10 mg/m3 di PM10 e PM2.5 produce un aumento di rischio di 1,26% e 2,08% di mortalità per cause naturali, di 1,18% e 2,32% per cause cardiovascolari, di 1,40% e 2,91% per cause cardiache, di 3,54% e 4,55% per cause respiratorie, e di 4,55% e 9,64% per cause nervose per il PM10 e il PM2.5 rispettivamente.

Ogni incremento di 10 mg/m3 di biossido di azoto produce un aumento del rischio di 6,68% per cause respiratorie e di 7,30% per cause metaboliche. Tali rischi includono anche il contributo occupazionale soprattutto per le malattie respiratorie.

Recenti studi condotti da Inail hanno evidenziato che i lavoratori occupati in settori a rischio per malattie respiratorie, hanno un incremento di rischio di circa lo 0,5% rispetto ai soggetti non esposti.

covid-19

I rischi per chi lavora al freddo, come prevenirli?

Non esistono parametri per definire il freddo. In linea generale, si può definire lavoro al freddo quello svolto a temperature inferiori a 15° se riguarda lavori sedentari e che implicano minimi movimenti.

Il rischio puù alto è per i lavori che si svolgono a temperature inferiori ai 5°, e in particolare per tutte operazioni svolte a temperature sotto lo zero, il rischio che il lavoratore corre è immediatograve e da valutare con la massima attenzione.

I disturbi provocati dal freddo

Il lavoro al freddo può provocare vari disturbi agli arti che vanno dalla semplice perdita di sensibilità a geloni. Nei casi più gravi invece, chi lavora al freddo è esposto a rischio ipotermia, un disturbo per cui l’individuo non è più in grado di regolare la sua temperatura interna e che può aver conseguenze drammatiche quali alterazioni dello stato di coscienzacoma e anche decesso.

Molto diffusi anche tra i lavoratori che lavorano a basse temperature i disturbi all’apparato muscoloscheletrico.

Alcuni consigli per la gestione del rischio nel DLgs 81/08

Prevedere un riscaldamento locale (raggi infrarossi) e evitare che si formino correnti d’aria. Prevedere tappetini termicamente isolanti. Evitare di creare escursione termica. Trascorrere i tempi di pausa in ambienti riscaldati. Utilizzare biancheria termica.

Per i lavoratori all’aperto, se le temperature fossero estremamente basse, è necessaro mettere in atto ulteriori misure: capanni, tettoie, indumenti più pesanti.

trattori

Trattori, rischio ribaltamento. Le normative e i sistemi di sicurezza

Anche chi lavora in campo agricolo deve essere messo in condizione di poter lavorare in Sicurezza per tutelare la propria salute. Fra i maggiori rischi per i lavoratori agricoli si ssegnalano gli infortuni legati al ribaltamento dei trattori.

Cosa prevedono le normative europee e nazionali? La direttiva europea 42/CE del 2006, conosciuta anche come Direttiva Macchine fa esplicitamente riferimento a strutture per tutelare gli operatori in caso di ribaltamento e caduta oggetti, oltre a sistemi di ritenzione per mantenere le persone sul sedile.

Per quanto riguarda le normative italiane, un punto di svolta è segnato dall’allegato V del decreto legislativo 81 del 2008. Ulteriori precisazioni, soprattutto in termini di specificazioni tecniche, si trovano nelle linee guida predisposte dall’Inail.

Ribaltamento trattori, i sistemi di sicurezza

Tra i dispositivi di protezione c’è il telaio di protezione. Gli allegati delle linee guida dell’Inail riportano le schede tecniche per la realizzazione dei telai partendo dai dati di omologazione messi a disposizione dai principali costruttori di trattori italiani. In particolare vengono indicati materiali da utilizzare, numero, dimensioni e spessori di tubolari, piastre, viti e bulloni.

Altro dispositivo di sicurezza sono le cinture di surezza. La cintura serve per evitare che durante il rovesciamento il guidatore venga sbalzato.

È poi necessario che il costruttore rilasci un certificato di conformità per attestare la Sicurezza del trattore.

La visibilità

Per il conducente è inoltre fondamentale avere la massima visibilità. Questa la si ottiene grazie all’introduzione di vetri più grandi e alla riduzione delle zone d’ombra.

Le gabine inoltre proteggono anche il conducente non solo dagli infortuni, ma anche da vibrazioni, rumore, sole e temperature esterne, polveri e fitofarmaci irrorati.


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infortuni

Crescono gli infortuni sul lavoro nei primi 9 mesi del 2022 (+35,2%)

In aumento gli infortuni sul lavoro e le patologie di orgine professionale denunciate. Nei primi nove mesi del 2022 (gennaio-settembre) l’Inail ha registrato 536.002 denunce, ossia il +35,2% dello stesso periodo del 2021. Di queste 790 hanno avuto esito mortale. Risultano invece in aumento anche le patologie di origine professionale denunciate, che sono state 43mila 933, in crescita dell’8,6%.

Il fattore pandemia continua ad avere un impatto sui dati. a crescita degli infortuni si deve infatti in parte all’aumento delle denunce di infortunio da Covid-19 e in parte alla crescita degli infortuni “tradizionali”, sia in occasione di lavoro che in itinere. 

I dati sugli infortuni

Le denunce di infortunio sul lavoro presentate all’Inail entro lo scorso mese di settembre sono state 536.002, in aumento del 35,2% rispetto alle 396.372 dei primi nove mesi del 2021 (+46,2% rispetto alle 366.598 del periodo gennaio-settembre 2020 e +14,4% rispetto alle 468.698 del periodo gennaio-settembre 2019).

I dati rilevati al 30 settembre di ciascun anno evidenziano a livello nazionale per i primi nove mesi del 2022 un incremento rispetto al pari periodo del 2021 sia dei casi avvenuti in occasione di lavoro, passati dai 342.863 del 2021 ai 471.543 del 2022 (+37,5%), sia di quelli in itinere, occorsi cioè nel tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il posto di lavoro, che hanno fatto registrare un aumento del 20,5%, da 53.509 a 64.459.

Nello scorso mese di settembre il numero degli infortuni sul lavoro denunciati ha segnato un +33,3% nella gestione Industria e servizi (dai 339.466 casi del 2021 ai 452.566 del 2022), un -3,2% in Agricoltura (da 20.297 a 19.651) e un +74,2% nel Conto Stato (da 36.609 a 63.785).

Si osservano incrementi generalizzati degli infortuni in occasione di lavoro in quasi tutti i settori, in particolare nella Sanità e assistenza sociale (+132,3%), nel Trasporto e magazzinaggio (+112,8%), nell’Amministrazione pubblica, che comprende le attività degli organismi preposti alla sanità – Asl – e gli amministratori regionali, provinciali e comunali (+67,6%), e nelle Attività dei servizi di alloggio e di ristorazione (+65,4%).

L’analisi territoriale evidenzia un incremento delle denunce di infortunio in tutte le aree del Paese: più consistente nel sud (+48,9%), seguito da Isole (+45,2%), nord-ovest (+42,2%), centro (+38,2%) e nord-est (+20,1%).

Tra le regioni con i maggiori aumenti percentuali si segnalano principalmente la Campania (+89,7%), la Liguria (+61,2%) e il Lazio (+58,2%).

L’aumento che emerge dal confronto di periodo tra il 2021 e il 2022 è legato sia alla componente femminile, che registra un +57,9% (da 140.999 a 222.638 denunce), sia a quella maschile, che presenta un +22,7% (da 255.373 a 313.364). L’incremento ha interessato sia i lavoratori italiani (+37,5%), sia quelli extracomunitari (+26,3%) e comunitari (+21,8%).

Dall’analisi per classi di età emergono incrementi generalizzati in tutte le fasce. Quasi la metà dei casi confluisce nella classe 40-59 anni.

Le malattie professionali

Le denunce di malattia professionale protocollate dall’Inail nei primi nove mesi del 2022 sono state 43.933, in aumento di 3.463 casi (+8,6%) rispetto allo stesso periodo del 2021 (12.232 casi in più, per un incremento percentuale del 38,6%, rispetto al pari periodo del 2020, e 1.225 casi in meno, con una riduzione del 2,7%, rispetto al periodo gennaio-settembre 2019).

I dati rilevati al 30 settembre di ciascun anno mostrano un aumento per i primi nove mesi di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2021 nelle gestioni Industria e servizi (+8,6%, da 33.336 a 36.191 casi) e Agricoltura (+9,0%, da 6.748 a 7.358) e una diminuzione nel Conto Stato (-0,5%, da 386 a 384). L’analisi territoriale evidenzia un incremento delle denunce nel nord-ovest (+12,7%), nel sud e nelle Isole (+10,9% ciascuna), nel centro (+8,7%) e nel nord-est (+2,8%).

In ottica di genere si rilevano 2.930 denunce di malattia professionale in più per i lavoratori, da 29.477 a 32.407 (+9,9%), e 533 in più per le lavoratrici, da 10.993 a 11.526 (+4,8%). Nel complesso, l’aumento ha interessato sia le denunce dei lavoratori italiani, passate da 37.451 a 40.602 (+8,4%), sia quelle degli extracomunitari, da 2.086 a 2.236 (+7,2%), e dei comunitari, da 933 a 1.095 (+17,4%).

Le patologie del sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo, quelle del sistema nervoso e dell’orecchio continuano a rappresentare, anche nei primi nove mesi del 2022, le prime tre malattie professionali denunciate, seguite dai tumori e dalle malattie del sistema respiratorio.

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