dipendenti pubblici

Dipendenti pubblici: rientro in ufficio organizzato in 4 progressivi step

Rientro in ufficio al rallentatore dei dipendenti pubblici: quello che sembrava un obbligo per tutti dal 15 ottobre, in realtà può essere dilazionato per ulteriori 15 giorni.

Per raggiungere questo obiettivo i dirigenti di vertice sono chiamati a un percorso in diverse fasi. La prima operazione consiste nell’individuazione dei settori che si interfacciano direttamente con i cittadini per definire quali dipendenti già devono essere in presenza. Questo, però, non è sufficiente. Se ci sono arretrati, si deve predisporre un piano per il loro smaltimento e, in questo contesto, richiamare in ufficio delle forze necessarie per la sua attuazione.

La seconda fase comporta una programmazione delle attività per le quali la presenza dei dipendenti pubblici può essere scaglionata, stabilendone i tempi, con l’occhio rivolto alla necessità di evitare assembramenti all’entrata e all’uscita. Oltre al numero dei soggetti interessati, il puzzle deve tener conto dell’obbligo di controllo dei Green Pass, che contribuiscono a rallentare gli accessi, e delle assenze ingiustificate di tutti i soggetti che non sono in grado di esibire la certificazione.

L’utilizzo delle fasce di flessibilità

Un aiuto potrebbe venire dall’ampliamento delle fasce di flessibilità, se non fosse che, calendario alla mano, non ci sono i tempi tecnici per rispettare le procedure previste per le relazioni sindacali. L’ultimo step necessario per dare piena attuazione al decreto dovrebbe consistere nella predisposizione del quadro di riferimento del nuovo Smart Working, che si libera del collegamento con il periodo di emergenza da Covid-19 per entrare in un contesto più normalizzato.

In sostanza si devono individuare le attività “smartizzabili” a regime, le modalità di presentazione delle domande per l’accesso al lavoro agile e i criteri di scelta nel caso in cui queste superino gli obiettivi che l’ente si è posto; senza scendere al di sotto del 15%.

Quali sono i problemi di importante risoluzione?

Devono anche essere risolti i problemi di natura tecnologica, che vanno dalla sicurezza dei dati in cloud alla fornitura della strumentazione informatica ai dipendenti pubblici. Contemporaneamente sono da gestire le problematiche che emergono con l’introduzione dell’obbligo di Green Pass e delle nuove modalità di controllo in corso di attivazione sui portali dell’Inps e quello Pn-Dgr per le amministrazioni con almeno 50 dipendenti pubblici, previste nel Dpcm di pochi giorni fa.

Considerando che in 15 giorni è materialmente impossibile affrontare tutte queste tematiche, così complesse e che, talvolta, non dipendono solo dalla volontà dell’amministrazione, quale la fornitura dei PC o la previsione dei dipendenti assenti ingiustificati, si devono individuare le priorità. Si deve tener conto del fatto che in tema di rientro non sono previste particolari sanzioni mentre il mancato controllo dei Green Pass è esplicitamente censurato.


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green pass

Sicurezza lavoro e green pass, 15 domande all’esperto Avv. Lorenzo Fantini

Il 15 ottobre diventa obbligatorio il green pass obbligatorio in ambito lavorativo pubblico e privato, anche per autonomi e professionisti. Noi di Unasf Abbiamo posto alcune alcune domande all’avvocato Lorenzo Fantini, già dirigente del ministero del Lavoro e affermato consulente in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro. Ecco cosa ci ha risposto.

Domanda: Quali competenze ha il medico del lavoro e quali il datore di lavoro per quanto riguarda i controlli green pass?

Risposta: Il medico del lavoro non ha nessuna competenza. O meglio, un minimo di competenza la vedo nel controllo delle esenzioni dal vaccino, ossia i certificati previsti dalla circolare del 4 agosto 2021 del ministero della Salute. Personalmente, sto suggerendo alle aziende di prevedere che i soggetti con esenzione lo comunichino al medico competente.

D: Chi fornisce le esenzioni, anche il medico di famiglia?

R. Anche questo è stabilito dalla circolare del 4 agosto e quindi, se parliamo di esenzioni, è necessario siano messe nero su bianco da un medico vaccinatore. Anche il medico di famiglia, quindi, ma solo se è tra i medici che vaccinano.

D: E il lavoratore con esenzione deve fare il tampone?

R: Il lavoratore in questione non deve fare il tampone proprio perché esentato dall’obbligo del green pass. Molte aziende hanno comunque deciso di adottare la procedura del tampone per una maggiore tutela. Ma in questo caso, a parer mio, il tampone deve pagarlo l’azienda. Un lavoratore esente lo è per ragioni di salute, quindi a questo punto dovremmo anche  il medico competente per capire se sia il caso di affidargli mansioni diverse, spostarlo ad altri incarichi.

D: Ci sono casistiche in cui un datore può rifiutare l’esenzione?

R: Se il certificato è redatto da un medico non vaccinatore, può rifiutarla. Anche per questo motivo consiglio di coinvolgere il medico competente cosicché prenda visione dell’esenzione.

D: C’è il caos sui tamponi, molto probabilmente non saranno abbastanza per coprire tutti i lavoratori non vaccinati. Cosa accadrà se un lavoratore non vaccinato non trova il tampone?

R: Il lavoratore senza green pass non potrà entrare. Può presentarsi, in caso di ritardi di ricezione del green pass, con il risultato del tampone negativo.

D: Per chi ha ricevuto un vaccino non approvato in Europa, come quello cinese, qual è la procedura per poter lavorare?

R: Il governo dice che sta lavorando su un applicativo europeo per il riconoscimento reciproco del green pass. Ossia verranno riconosciuti questi vaccini per l’ottenimento del green pass. Finché non c’è questo applicativo devono fare il tampone, possibilmente presentandosi con una certificazione in inglese.

D: Corsi di formazione in aula: chi deve controllare il possesso del green pass?

R: Come al solito, il datore di lavoro o suo incaricato. In questo caso, se l’azienda lo ritiene, può incaricare anche il docente.

D: Dato che la formazione è obbligatoria e si svolge in orario di lavoro, un lavoratore senza green pass può svolgere formazione in eLearning oppure no?

R: Teoricamente si trova in assenza ingiustificata e quindi c’è da chiedersi se può svolgerla. Secondo me sì perchè assenza ingiustificata non è sospensione. È ragionevole dire che utilizziamo quell’orario per fare formazione.

D: Nel caso in cui un regolamento aziendale lo preveda, il datore di lavoro può procedere anche con le eventuali sanzioni interne in caso di mancato green pass del lavoratore?

R: L’azione disciplinare è prevista solo se il lavoratore non rispetta il principio di correttezza e buonafede. Ad esempio, se il datore chiede al lavoratore di comunicare il possesso del green pass con un anticipo di 24 ore e questo termine non viene rispettato, allora il datore può procedere con un’azione disciplinare, se lo ritiene. Altro punto è se il lavoratore comunica al lavoratore la necessità di avere il green pass dal 15 ottobre e lui si presenta comunque senza, o senza altra certificazione idonea. Anche qui c’è la possibilità di un’azione disciplinare visto che si tratta di assenza ingiustificata.

D: E per quanto riguarda la segnalazione al prefetto del lavoratore trovato senza green pass?

R: Il discorso del prefetto è diverso. Secondo me il datore di lavoro, o suo incaricato alla verifica, non hanno alcun obbligo di fare comunicazione al prefetto poiché non sono ufficiali di polizia giudiziaria. Non capisco chi dice il contrario.

D: C’è poi la questione dei controlli a campione. Occorre tenere un registro apposito?

R: Non si possono conservare nomi e cognomi. O si utilizza un sistema informatizzato, oggi possibile con gli ultimi provvedimenti, oppure bisogna avere buona memoria.

D: Appaltatore e subappaltatore in cantiere. A chi spetta la verifica del green pass e chi, eventualmente, potrebbe essere sanzionato?

R: Il controllo spetta a entrambi i datori di lavoro, o a loro incaricati, quindi sia agli appaltatori sia ai subappaltatori. Una possibilità che potrebbe essere messa in pratica è quella che due lavoratori, uno di un’azienda e uno dell’altra, controllino tutti in cantiere. Oppure una sola azienda può prendersi questo incarico, se le parti lo ritengono.

D: Un’azienda ha un lavoratore in trasferta. Come avviene la verifica del green pass?

R: Il green pass serve per tutti i luoghi di lavoro. Il datore o suo incaricato devono organizzarsi per le verifiche anche con chi lavora in trasferta.

D: Ha dei consigli o altre specifiche per i datori di lavoro sul green pass?

R: Il mio consiglio è di scrivere prima del 15 ottobre una comunicazione a tutti i lavoratori dicendo che entra in vigore il green pass e che non potranno essere più essere accettati a lavoro senza green pass o certificazioni idonee. Nella stessa comunicazione, infatti, occorre segnalare che c’è appunto la possibilità di presentare certificato esenzione, da far vedere, come dicevamo, al medico competente.

Altro consiglio, ma più che consiglio è la procedura corretta, è che l’incarico di verificatore deve essere formalizzato e quest’ultimo deve essere adeguatamente formato sulla normativa privacy vigente.

D: Ultima domanda: ritiene che la normativa emergenziale Covid sia ben integrata con l’81/08 o ci sono dei contrasti?

R: Ben detto, la normativa emergenziale integra l’81/08, ma non lo modifica. Il Testo Unico non aveva previsioni sulla pandemia e quindi è stato giustamente integrato prima in materia Covid e ora in materia green pass per questa specifica situazione. Ci auguriamo di non averne più necessità in futuro, ma se accadrà sapremo già quali sono le disposizioni.


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Morti sul lavoro

Morti su lavoro: nel prossimo CdM nuovo decreto del Governo Draghi

Quasi pronto il decreto con il quale il governo prova a fermare la strage quotidiana di morti sul lavoro che causa una media di tre vittime al giorno.

Il decreto costituirebbe un’inversione di tendenza sull’approccio delle istituzioni e sul numero di morti sul lavoro. Occorre costruire prassi e procedure per garantire sicurezza e lavoro preservando la vita di ogni lavoratore. Le istituzioni nazionali e locali devono rafforzare le verifiche, i controlli, le ispezioni nei luoghi di lavoro: lo chiedono le associazioni datoriali, i sindacati e tutti coloro che gravitano nell’orbita della sicurezza sul lavoro.

Tra le priorità c’è quella di assumere subito il personale adeguato come ispettori e medici del lavoro, fare un grande investimento sulla formazione, sulla prevenzione, sulla ricerca per far crescere la cultura della salute e sicurezza ed evitare l’incrementarsi del numero di morti sul lavoro. Inoltre è importante inasprire le sanzioni per le aziende che violano legge e contratti.

Nello specifico, di cosa si occuperà il prossimo decreto?

Il decreto interviene con modifiche e assestamenti del Testo unico sulla sicurezza del lavoro per “incentivare l’attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed il coordinamento dei soggetti competenti a presidiare il rispetto delle norme prevenzionistiche”. Previsto quindi un “ampliamento delle competenze ispettive dell’Ispettorato nazionale nell’ambito della materia della salute e sicurezza del lavoro, così da consentire un maggior presidio, su tutto il territorio nazionale, sul rispetto della relativa disciplina.

Le modifiche prevedono, inoltre – come recita la bozza di testo – un accentramento in capo all’Ispettorato del coordinamento dell’attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza su lavoro svolta a livello provinciale”. Si tratta, in sostanza, della volontà di mettere a sistema e armonizzare le attività delle Asl, innanzitutto con la previsione di almeno due riunioni all’anno del comitato regionale, convocate direttamente dall’Ispettorato.

Ecco le pene previste

Previste pene immediate e più severe: sospensione dell’attività per le aziende che non rispettano le norme sulla sicurezza e l’arresto fino a sei mesi per gli imprenditori che non si mettono in regola. Le aziende sorprese da un’ispezione con il 10% degli addetti senza regolare contratto presenti sul luogo di lavoro rischiano lo stop. Al momento la chiusura scatta solo con il 20% dei lavoratori irregolari e solo in caso di “gravi e reiterate violazioni”. Nel periodo di sospensione, l’impresa dovrà continuare a pagare gli stipendi e potrebbe non poter partecipare a gare pubbliche.


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Green Pass in azienda

Green Pass in azienda: 4 modalità per velocizzare la verifica

Sono quattro le nuove modalità di verifica del Green pass in azienda dei lavoratori che si affiancheranno alla app Verifica C19, oggi già in uso nei ristoranti e negli altri luoghi in cui è obbligatorio entrare con il certificato.

A indicare queste modalità è il Dpcm, firmato recentemente dal premier Mario Draghi, che aggiorna il primo decreto di giugno sul green pass. Il decreto è l’ultimo tassello mancante per rendere operativi i nuovi sistemi automatizzati di controlli del green pass in azienda che da venerdì saranno obbligatori su una platea di oltre 23 milioni di lavoratori, pubblici e privati. Il provvedimento indica tutti i passaggi necessari per le verifiche in ingresso e inserisce tra i soggetti abilitati i datori di lavoro pubblici e privati e i dirigenti scolastici.

Per semplificare i controlli, i datori di lavoro potranno interrogare la banca dati nazionale, ma con un anticipo massimo di 48 ore. Il meccanismo ruota tutto attorno alla tessera sanitaria (Ts) e alla banca dati del green pass (piattaforma nazionale Dgc) gestita da Sogei.

Accreditamento delle aziende: i tempi sono strettissimi

Ed è proprio Sogei, il braccio tecnologico del Mef, ad aver lavorato (in coordinamento con il ministero della Salute e con l’innovazione tecnologica) in questi mesi per mettere a punto i nuovi sistemi di verifica da far confluire in una sorta di “libreria digitale” pronta per dialogare con i sistemi europei.

Ma anche se i sistemi sono già collaudati, difficilmente saranno accessibili già dal D-day di venerdì. Anche perché aziende ed enti pubblici dovranno prima accreditarsi (operazione non ancora possibile) e indicare quali soggetti sono delegati alle verifiche quotidiane. In attesa di completare tutti questi passaggi, resta l’app Verifica C19 l’unico strumento di fatto utilizzabile. E nei primi giorni l’obiettivo di controlli massivi e anticipati sarà difficile da centrare.

Qual è il sistema di verifica più immediato?

Dei 4 sistemi di verifica il più immediato, soprattutto per i datori di lavoro privati, è quello che passa per l’Inps, ancora una volta soggetto a uno “stress test “ tecnologico. In pratica le aziende, o meglio, i delegati al controllo accreditati potranno inserire in anticipo sugli accessi nel portale Inps, anche in blocco, i codici fiscali dei dipendenti da controllare e Inps “riverserà” le richieste alla piattaforma Sogei.

Il vantaggio sarà nei numeri e nei tempi; le verifiche potranno essere chieste in anticipo per un gran numero di lavoratori e le risposte arriveranno, (anche nelle ore notturne) prima dell’accesso sul luogo di lavoro. Il sistema è pensato per tutte le aziende private con più di 50 dipendenti (al di sotto di questa soglia resta Verifica C19) e per le amministrazioni pubbliche che non sono collegate.


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Credito d’imposta sanificazione e Dpi: domande fino al 4 novembre: per chi e per cosa?

Un mese di tempo per l’invio telematico all’Agenzia delle entrate: ecco cosa bisogna sapere

Un mese di tempo per inoltrare l’istanza telematica atta a ottenere il credito d’imposta per le spese relative a sanificazione e Dpi, sostenute tra giugno e agosto 2021. Senza però la possibilità (nemmeno parziale) di cedere il credito ad altri soggetti come invece è stato possibile nei precedenti, analoghi provvedimenti.

Scadenza per l’istanza giovedì 4 novembre, mentre gli importi reali saranno resi noti dall’Agenzia delle entrate entro il 12 novembre. Il credito, infatti, è sì pari al 30% delle spese ammissibili, fino a un massimo di 60 mila euro a beneficiario. Il fondo complessivo per sanificazione e Dpi, però, ammonta a solo 200 milioni e quindi gli importi effettivi (e dunque le percentuali) dovranno tenere forzatamente conto delle risorse disponibili. 

Cosa riguarda il credito d’imposta

Inviata l’istanza telematica su sanificazione e Dpi all’Agenzia delle entrate secondo i criteri e le modalità previste dall’apposito provvedimento del Fisco (nr. 191910 del 15 luglio 2021 – leggi qui), arriva il via libera sul cassetto fiscale del richiedente. Quest’ultimo soggetto può, quindi, procedere a compensare i primi importi.

Le spese ammissibili al credito d’imposta sono:

  • sanificazione degli ambienti in cui è esercitata l’attività lavorativa e istituzionale, nonché degli strumenti utilizzati in tale ambito;
  • somministrazione di tamponi a coloro che lavorano nell’ambito in queste attività;
  • acquisto di Dpi conformi ai requisiti di sicurezza previsti dalle norme UE (es: mascherine, guanti, visiere e occhiali protettivi, tute di protezione e calzari);
  • acquisto di altri Dpi conformi ai requisiti di sicurezza previsti dalle norme UE, incluse le eventuali spese di installazione (es: termometri, termoscanner, tappeti e vaschette decontaminanti e igienizzanti);
  • acquisto di prodotti detergenti e disinfettanti;
  • acquisto di dispositivi atti a garantire la distanza di sicurezza interpersonale, incluse le spese di installazione (es: barriere e pannelli protettivi).

A chi spetta il credito d’imposta

L’agevolazione spetta a:

  • esercenti attività d’impresa, arti e professioni;
  • enti non commerciali, compresi Terzo settore e enti religiosi civilmente riconosciuti;
  • strutture ricettive extra-alberghiere a carattere non imprenditoriale (a certe condizioni).

I beneficiari possono scegliere se utilizzare il credito d’imposta nella dichiarazione dei redditi o se in compensazione tramite modello F24. Al momento, però, la PA non ha ancora reso note le specifiche necessarie al procedimento, ossia i termini per l’utilizzo del credito in compensazione e il codice tributo.


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