Rischio fulminazione: la valutazione obbligatoria

Rischio fulminazione: la valutazione obbligatoria

Il rischio fulminazione da scariche atmosferiche rappresenta un fattore di pericolo che ogni datore di lavoro ha l’obbligo legale di analizzare e gestire. Questo adempimento si inserisce nel quadro più ampio della sicurezza sul lavoro, definito in Italia dal Dlgs 81/2008.

Nello specifico, l’articolo 80 del decreto impone al datore di lavoro di valutare tutti i rischi di natura elettrica, includendo esplicitamente la fulminazione, sia essa diretta o indiretta. L’articolo 84, inoltre, stabilisce che le strutture e gli impianti devono essere protetti da tali fenomeni secondo lo stato dell’arte, identificato dalle specifiche norme tecniche. L’articolo 86 impone controlli periodici per verificare l’efficienza degli impianti stessi.

Questa valutazione non è dunque una facoltà, ma una componente essenziale e obbligatoria del documento di valutazione dei rischi (DVR) che ogni impresa deve redigere e mantenere aggiornato. L’obbligo sussiste per qualsiasi struttura che ospiti lavoratori, indipendentemente dalla sua tipologia o dimensione. Le metodologie per questa analisi sono definite dal corpo normativo tecnico, in particolare dalle norme della serie CEI EN 62305.

La metodologia per il calcolo del rischio fulminazione

La valutazione del rischio fulminazione non si limita a una semplice constatazione della presenza o assenza di un parafulmine, ma consiste in un’analisi tecnica complessa e documentata. La metodologia, definita dalla norma CEI EN 62305-2, si basa su un calcolo analitico del livello di rischio complessivo. Questo valore è il risultato della somma di diverse componenti di rischio, ciascuna calcolata come prodotto di tre fattori: il numero annuo di eventi pericolosi, la probabilità di danno e l’entità della perdita conseguente.

Il calcolo dipende strettamente dalla densità di fulmini a terra, un valore specifico per l’area geografica della struttura che, secondo la norma CEI EN IEC 62858, deve essere aggiornato almeno ogni cinque anni. Di conseguenza, se la valutazione del rischio esistente ha più di cinque anni o si basa su dati non aggiornati, il datore di lavoro è tenuto a provvedere a un nuovo calcolo. L’analisi considera inoltre molteplici fattori, come le dimensioni dell’edificio, i materiali costruttivi, la tipologia di utilizzo e la presenza di linee elettriche o dati entranti.

Misure di protezione conseguenti alla valutazione

L’esito dell’analisi determina gli obblighi pratici per il datore di lavoro, che ne è il responsabile legale, pur potendosi avvalere di tecnici specializzati. Se il rischio calcolato per una specifica componente di perdita supera il corrispondente rischio tollerabile stabilito dalla norma, la struttura non è considerata protetta e scatta l’obbligo di intervento.

Le componenti di rischio analizzate sono quattro: il rischio di perdita di vite umane, il rischio di perdita di servizi essenziali per il pubblico, il rischio di perdita di patrimonio culturale insostituibile e il rischio di perdita economica.

L’assenza di questa valutazione all’interno del DVR costituisce un’inadempienza. Le misure di protezione (LP) si dividono in due categorie principali: la protezione esterna (LPS), ovvero i sistemi di captazione e dispersione noti come “parafulmini”, che proteggono la struttura da incendi e danni meccanici (danno tipo D2) e le persone dall’elettrocuzione (danno tipo D1); e la protezione interna (SPD), ovvero gli scaricatori di sovratensione, che prevengono i guasti agli impianti elettrici ed elettronici (danno tipo D3).

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