Responsabilità preposto: il ruolo senza formazione

Responsabilità preposto: il ruolo senza formazione

La responsabilità preposto è uno dei temi più dibattuti nell’applicazione del Dlgs 81/2008, specialmente quando si interseca con la carenza di requisiti formali. Il Testo Unico sulla Salute e Sicurezza definisce questa figura non solo in base all’investitura ufficiale, ma soprattutto in relazione alle mansioni concretamente svolte nell’organizzazione lavorativa.

L’articolo 2 del Decreto identifica il preposto come colui che sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa. Tuttavia, il legislatore ha voluto evitare che l’assenza di una nomina scritta o di una formazione specifica potesse diventare una scappatoia giuridica per esimersi dalle responsabilità penali in caso di infortunio.

L’articolo 299 del Dlgs 81/2008 introduce infatti il “principio di effettività”, stabilendo in modo inequivocabile che le posizioni di garanzia gravano su colui che, pur privo di poteri formali, esercita in concreto i poteri giuridici riferiti al datore di lavoro, al dirigente o, appunto, al preposto. Di conseguenza, gli obblighi di vigilanza e controllo sanciti dall’articolo 19 non decadono automaticamente qualora il soggetto non abbia frequentato il corso di formazione obbligatorio.

Responsabilità preposto e assenza di formazione specifica

Approfondendo il legame tra responsabilità preposto e mancanza di formazione, la giurisprudenza di legittimità ha recentemente ribadito un orientamento estremamente rigoroso. In sede giudiziaria, accade frequentemente che soggetti imputati per lesioni colpose o omicidio colposo tentino di articolare la propria difesa eccependo la mancata frequentazione dei corsi di aggiornamento o di base previsti dall’articolo 37 del Dlgs 81/2008.

La tesi difensiva si fonda sull’assunto che, senza l’adeguata conoscenza teorica e tecnica trasferita dalla formazione, il soggetto non possa essere pienamente consapevole del proprio ruolo, dei rischi specifici e dei relativi oneri di controllo. Tuttavia, i giudici della suprema corte respingono sistematicamente questa argomentazione.

Viene stabilito che l’assenza di formazione costituisce certamente una grave inadempienza del datore di lavoro (sanzionabile separatamente e severamente), ma non elide la colpa del lavoratore che, di fatto, ha assunto il ruolo di coordinamento. Se un soggetto impartisce ordini, gestisce i turni, controlla il lavoro altrui e prende decisioni operative, assume la posizione di garanzia. Pertanto, non può invocare l’ignoranza delle norme di sicurezza come scusante per non essere intervenuto a bloccare una prassi pericolosa o per non aver segnalato un rischio evidente, poiché la diligenza, la prudenza e la perizia sono doveri che prescindono dal possesso di un formale attestato di frequenza.

Conseguenze operative e gestione del ruolo di fatto

Le implicazioni di questo assetto interpretativo sono rilevanti per la gestione operativa della sicurezza in azienda. Per i datori di lavoro, emerge con forza la necessità di mappare accuratamente i ruoli all’interno dell’organigramma, andando oltre le nomine formali: è indispensabile intercettare tutti quei lavoratori esperti o capisquadra che, nella quotidianità, esercitano funzioni direttive.

Lasciare un “preposto di fatto” senza la dovuta formazione espone l’azienda a una doppia responsabilità: la culpa in eligendo (per aver affidato compiti di vigilanza a persona non preparata) e la violazione dell’obbligo formativo. Per i lavoratori che svolgono funzioni di sovraintendenza, il messaggio è altrettanto chiaro: l’assunzione di fatto del ruolo comporta l’acquisizione immediata di oneri e responsabilità penali.

Agire come capo squadra senza aver ricevuto l’addestramento necessario non protegge dalle conseguenze legali di un eventuale evento lesivo; al contrario, può dimostrare un’imprudenza o una negligenza nella gestione del ruolo assunto. È dunque fondamentale che chiunque si trovi a coordinare colleghi pretenda dal proprio datore di lavoro la formazione specifica prevista dalla legge, considerandola non solo un obbligo normativo, ma uno strumento essenziale di autotutela per acquisire la competenza necessaria a esercitare la vigilanza in modo efficace.

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