Le radiazioni ottiche artificiali costituiscono una fonte di rischio fisico sempre più diffusa all’interno delle strutture sanitarie, richiedendo un’attenta gestione conformemente a quanto stabilito dal Titolo VIII, capo V, del Dlgs 81/2008. L’impiego massiccio di tecnologie basate sull’emissione di radiazioni non ionizzanti per fini diagnostici, terapeutici, chirurgici e riabilitativi impone al datore di lavoro un obbligo puntuale di valutazione dei rischi. La normativa vigente distingue tecnicamente tra radiazioni coerenti (laser) e non coerenti, fissando rigorosi valori limite di esposizione che non devono essere superati per garantire l’incolumità degli operatori sanitari e dei pazienti.
Tale processo valutativo non può limitarsi a un adempimento formale, ma deve basarsi su misurazioni strumentali precise o sui dati di emissione forniti dai fabbricanti delle apparecchiature, integrati dalle indicazioni metodologiche contenute nelle guide del Portale Agenti Fisici (PAF), che funge da riferimento istituzionale per l’identificazione delle sorgenti e delle relative misure di tutela necessarie in ambienti complessi come ospedali e ambulatori.
Analisi tecnica delle radiazioni ottiche e sorgenti
Nell’approfondire la specificità delle radiazioni ottiche in ambito medico, emerge una varietà di sorgenti potenzialmente pericolose spesso sottostimate. Oltre ai noti dispositivi laser di classe 3b e 4, utilizzati in chirurgia, oftalmologia e dermatologia, esistono numerose sorgenti di radiazioni non coerenti che richiedono attenzione.
Tra queste figurano le apparecchiature per la fototerapia neonatale (luce blu), le lampade germicide ultraviolette per la sterilizzazione degli ambienti, i sistemi a luce pulsata intensa (ipl) per trattamenti estetici o dermatologici e le stesse lampade scialitiche utilizzate nelle sale operatorie, che seppur progettate per illuminare il campo chirurgico, possono emettere una componente di luce blu dannosa per la retina in caso di esposizione prolungata e ravvicinata. I danni potenziali per la salute si localizzano principalmente a livello oculare e cutaneo: l’interazione del fascio radiante con i tessuti biologici può provocare effetti termici (ustioni, coagulazione), fotochimici (cheratiti, congiuntiviti, eritemi) e, nel lungo periodo, effetti cancerogeni o di invecchiamento precoce della pelle e del cristallino (cataratta).
Misure di prevenzione e gestione operativa del rischio
Le implicazioni pratiche per la sicurezza nelle strutture sanitarie richiedono l’adozione di una strategia di prevenzione articolata su misure tecniche, organizzative e procedurali. È fondamentale la delimitazione e la segnalazione delle aree ad accesso controllato (zone laser controllate), dove l’ingresso deve essere consentito solo a personale autorizzato e formato.
Dal punto di vista della protezione individuale, la fornitura di occhiali protettivi specifici è imprescindibile: questi dispositivi di protezione individuale (DPI) devono essere selezionati in base alla lunghezza d’onda della radiazione emessa e al livello di attenuazione necessario, garantendo al contempo il comfort visivo per non ostacolare l’attività clinica. Inoltre, la formazione specifica degli operatori sanitari deve riguardare non solo l’uso clinico dell’apparecchiatura, ma anche i rischi collaterali di esposizione accidentale. Infine, la sorveglianza sanitaria assume un ruolo chiave: il medico competente deve definire protocolli mirati per monitorare la salute oculare e cutanea dei lavoratori esposti, specialmente per coloro che operano continuativamente con sorgenti ad alta intensità.


