Rischio chimico: criticità nella valutazione e prevenzione

Rischio chimico: criticità nella valutazione e prevenzione

La corretta gestione del rischio chimico all’interno dei luoghi di lavoro rappresenta uno degli obblighi più complessi e articolati previsti dal Titolo IX del Dlgs 81/2008. Il legislatore impone al datore di lavoro di effettuare una valutazione puntuale di tutti gli agenti chimici presenti nel ciclo produttivo, determinando preliminarmente se essi siano pericolosi per la salute o per la sicurezza. Tale processo non può limitarsi a una mera archiviazione documentale, ma richiede un’analisi tecnica approfondita che consideri le proprietà intrinseche delle sostanze, le modalità di utilizzo e le quantità in giuoco.

Spesso, tuttavia, questo iter valutativo presenta lacune significative che compromettono l’efficacia del sistema di prevenzione. Il fulcro della norma risiede nella capacità di stabilire se il rischio possa essere classificato come “irrilevante per la salute e basso per la sicurezza”: solo in questo caso, infatti, l’azienda è esonerata dall’adozione di misure specifiche quali la sorveglianza sanitaria, le misurazioni periodiche e l’istituzione delle cartelle sanitarie e di rischio. Una sottostima in questa fase espone i lavoratori a pericoli latenti e l’azienda a gravi sanzioni penali.

Analisi delle criticità del rischio chimico e schede dati

Entrando nel merito delle problematiche operative, una delle principali criticità del rischio chimico riguarda la gestione delle schede di dati di sicurezza (SDS). Questi documenti, che costituiscono la fonte primaria di informazione ai sensi dei Regolamenti Europei Reach e CLP, sono spesso reperiti in versioni obsolete, non aggiornate alle ultime classificazioni di pericolo o prive degli scenari di esposizione pertinenti. Un errore frequente consiste nell’affidarsi ciecamente a algoritmi di calcolo software (come i modelli MoVaRisch o Al.Pi.Ris) inserendo dati di input imprecisi o non veritieri.

Sebbene tali algoritmi siano strumenti validi di screening, il loro utilizzo acritico può portare a risultati falsati, specialmente se non supportati da un’indagine in loco che verifichi le reali condizioni di ventilazione, le temperature di processo e la dispersione degli inquinanti. Inoltre, si riscontra spesso la tendenza a trascurare il cosiddetto “rischio cumulativo” o effetto cocktail, valutando le sostanze singolarmente senza considerare le possibili interazioni tossicologiche derivanti dall’esposizione simultanea a più agenti chimici.

Obblighi di misurazione e sorveglianza sanitaria

Le implicazioni pratiche di una valutazione superficiale sono devastanti per la tutela aziendale. Qualora l’algoritmo o l’analisi preliminare non consentano di giustificare “oltre ogni ragionevole dubbio” la condizione di rischio irrilevante, il datore di lavoro ha l’obbligo di procedere con misurazioni strumentali degli agenti inquinanti aerodispersi, confrontando i risultati con i valori limite di esposizione professionale (oel) nazionali o comunitari.

L’assenza di monitoraggi ambientali periodici in presenza di sostanze classificate come sensibilizzanti, cancerogene o tossiche per la riproduzione rende il documento di valutazione dei rischi (DVR) nullo o incompleto. Dal punto di vista sanitario, la classificazione del rischio determina l’attivazione della sorveglianza sanitaria obbligatoria: il mancato invio dei lavoratori alla visita medica, in presenza di un rischio chimico non irrilevante, costituisce una delle violazioni più gravi contestate dagli organi di vigilanza. È dunque imperativo che le aziende investano in una valutazione tecnica rigorosa, supportata da igienisti industriali qualificati, per garantire che le misure di protezione adottate (cappe aspiranti, dpi respiratori) siano effettivamente idonee a mitigare l’esposizione e a tutelare la salute a lungo termine degli operatori.

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