Stirene: classificazione di pericolo e monitoraggio del rischio

Stirene: classificazione di pericolo e monitoraggio del rischio

Una nuova scheda informativa dell’Inail (Factsheet 2025) accende i riflettori sullo stirene, un composto chimico ampiamente diffuso nella produzione di polimeri, resine e vetroresina, sollevando importanti questioni sulla gestione della sicurezza nei luoghi di lavoro. L’attenzione si focalizza non solo sulla sua classificazione di pericolo, che include la tossicità per la riproduzione (H361d – Sospettato di nuocere al feto) e la capacità di danneggiare gli organi uditivi, ma anche sulla complessità delle attività di monitoraggio necessarie per tutelare i lavoratori. La pubblicazione analizza nel dettaglio l’utilizzo, i rischi potenziali e le strategie di prevenzione, evidenziando come la corretta valutazione dell’esposizione richieda un approccio integrato che combini misurazioni ambientali e biologiche, tenendo conto anche di possibili fattori di confondimento come la co-esposizione ad altre sostanze.

Classificazione CLP e limiti di esposizione

La classificazione dello stirene secondo il Regolamento CLP (CE) n. 1272/2008 rappresenta il punto di partenza per ogni valutazione del rischio. Oltre a essere un liquido infiammabile (H226) e irritante per pelle e occhi (H315, H319), lo stirene è classificato come nocivo se inalato (H332) e, soprattutto, presenta un’indicazione di pericolo H361d (“Sospettato di nuocere al feto”). Questa specifica tossicità riproduttiva impone misure di prevenzione rigorose, in particolare per le lavoratrici in età fertile e in gravidanza. Inoltre, l’indicazione H372 (“Provoca danni agli organi in caso di esposizione prolungata o ripetuta”) segnala un rischio specifico per l’udito (ototossicità), che può essere potenziato dall’esposizione contemporanea al rumore. Sul fronte dei limiti di esposizione professionale (OEL), in assenza di un valore limite comunitario vincolante univoco, l’ACGIH raccomanda un TLV-TWA di 10 ppm e un TLV-STEL di 20 ppm, valori che richiedono un controllo attento delle concentrazioni ambientali.

Monitoraggio ambientale e biologico

Per garantire la sicurezza, l’Inail sottolinea l’importanza di un monitoraggio accurato conforme alla norma UNI EN 689. Le tecniche di campionamento ambientale, come l’uso di campionatori diffusivi o attivi seguiti da analisi gascromatografica, devono essere progettate per rappresentare fedelmente l’esposizione del lavoratore durante l’intero turno. Tuttavia, il solo monitoraggio ambientale potrebbe non essere sufficiente. Il monitoraggio biologico, attraverso la misurazione dei metaboliti urinari (come l’acido mandelico e l’acido fenilgliossilico) a fine turno, offre una stima più precisa della dose interna assorbita. È cruciale però considerare i fattori di confondimento: la scheda Inail evidenzia come la co-esposizione all’acetone, frequente nel settore della vetroresina, possa inibire il metabolismo dello stirene, portando a una sottostima dell’esposizione reale se ci si basa solo sui metaboliti urinari.

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