Arrivano i chiarimenti, condivisi con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell’Ispettorato nazionale sull’adibizione delle lavoratrici in gravidanza.
Nello specifico, le delucidazioni riguardano: l’adibizione della lavoratrice al trasporto o sollevamento pesi; il termine finale da indicare nel provvedimento di interdizione post partum nelle ipotesi di parto prematuro.
Ecco le disposizioni del D.Lgs. n.151/2001
Art. 7 comma 1: dispone il divieto di adibire la lavoratrice in periodo di gravidanza al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché a lavori pericolosi faticosi ed insalubri elencati specificamente negli allegati A e B del decreto
Art.7 comma 6: abilita gli organi di vigilanza ad autorizzare l’interdizione dal lavoro laddove non sia possibile adibire la lavoratrice ad altre mansioni.
Art. 17, comma 2: abilita gli Ispettorati del lavoro ad autorizzare l’interdizione dal lavoro, tra gli altri, per i seguenti motivi: “(…) b) quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino” (cfr. ML nota prot. n. 37/0011588 del 20 luglio 2015).
Applicazione della tutela della lavoratrice madre indipendentemente dal DVR
Per l’adozione di questi provvedimenti riguardarti il periodo di gravidanza si ritiene sufficiente la mera constatazione della adibizione della lavoratrice madre a mansioni di trasporto e al sollevamento di pesi, a prescindere dalla valutazione del rischio inerente all’interno del DVR.
Ne consegue che, anche qualora il rischio attinente al sollevamento dei pesi non sia stato espressamente valutato nel DVR, l’adibizione a tali mansioni costituirebbe comunque condizione sufficiente per il riconoscimento della tutela della lavoratrice con la conseguente emanazione del provvedimento di interdizione da parte dell’amministrazione competente, ferma restando una valutazione circa l’impossibilità di adibizione ad altre mansioni.
INL ricorda che anche la giurisprudenza nelle ipotesi sopra richiamate e in presenza dei presupposti fissati dalla legge, qualifica la posizione giuridica vantata dalla lavoratrice in termini di diritto soggettivo, non riscontrandosi significativi margini di valutazione neanche in termini di discrezionalità tecnica in ordine alla verifica delle effettive condizioni di lavoro della lavoratrice.


