unasf conflavoro, sicurezza sul lavoro, lavoro notturno

Il quadro normativo sulla tutela della salute nel lavoro notturno

Il lavoro notturno in Italia è regolato principalmente dal Decreto Legislativo 66/2003, che definisce questa attività come quella svolta tra le ore 24 e le 5 del mattino. Tale normativa stabilisce precise regole per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori adibiti a turni notturni, considerando le peculiarità e i rischi connessi a questo specifico tipo di lavoro.

Durata e limiti orari nel lavoro notturno

Il decreto prevede che l’orario di lavoro dei lavoratori notturni non possa superare, in media, le 8 ore nelle 24 ore, salvo diverse disposizioni previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro. Questo limite è pensato per ridurre gli effetti negativi sulla salute derivanti dall’esposizione prolungata al lavoro notturno.

Gli aspetti della sorveglianza sanitaria

Il datore di lavoro è obbligato a garantire la sorveglianza sanitaria per i lavoratori notturni, effettuando visite mediche preventive e periodiche (almeno ogni due anni) al fine di monitorare lo stato di salute e prevenire patologie correlate al lavoro notturno. Questa sorveglianza deve essere svolta a spese del datore di lavoro e può includere approfondimenti specifici per chi è particolarmente esposto a rischi.

Le misure di protezione e prevenzione

Per mitigare i rischi associati al lavoro notturno, il datore di lavoro deve assicurare condizioni di lavoro sicure, equivalenti a quelle dei turni diurni, compresi mezzi di prevenzione adeguati, una corretta organizzazione dei turni e supporti per ridurre stress e affaticamento nei lavoratori.

Le categorie escluse dal lavoro notturno

La legge esclude dal lavoro notturno alcune categorie vulnerabili, come donne in gravidanza o in allattamento, genitori con figli piccoli (sotto i 3 anni, o fino a 12 anni in caso di genitori soli) e lavoratori con disabilità, per tutelare la loro salute e le esigenze familiari.

I possibili rischi per la salute

Numerosi studi medici confermano che il lavoro notturno può comportare rischi per la salute, quali disturbi del sonno, problemi cardiovascolari, alterazioni metaboliche e disturbi psicologici come ansia e depressione. Per questo motivo, oltre a misure organizzative, è fondamentale promuovere una cultura della prevenzione e adottare politiche aziendali a favore del benessere dei lavoratori notturni.

Il ruolo della contrattazione collettiva

La contrattazione collettiva ha un ruolo centrale nell’adattare le regole generali alle specificità dei settori e delle aziende, modulando orari, pause e misure di tutela per i lavoratori notturni. Inoltre, si stanno sviluppando pratiche innovative, come l’uso di tecnologie per monitorare il benessere dei lavoratori notturni e interventi mirati di supporto psicologico.

In conclusione, la normativa italiana sul lavoro notturno rappresenta un importante strumento di tutela, ma richiede un costante aggiornamento e un impegno condiviso tra datori di lavoro, lavoratori e istituzioni per garantire condizioni di lavoro sicure, salubri e sostenibili.

Nuovo modulo INAIL per la valutazione dello stress lavoro-correlato nel lavoro da remoto e con tecnologie digitali

Nuovo modulo INAIL per la valutazione dello stress lavoro-correlato nel lavoro da remoto e con tecnologie digitali

L’INAIL ha recentemente pubblicato una monografia intitolata La metodologia per la valutazione e gestione del rischio stress lavoro-correlato – Modulo contestualizzato al lavoro da remoto e all’innovazione tecnologica”. Questo documento rappresenta un aggiornamento significativo nella gestione dei rischi psicosociali emergenti associati al lavoro da remoto e all’uso intensivo della tecnologia.

Riferimenti normativi sul lavoro da remoto

Il lavoro agile, o smart working, è regolamentato in Italia dalla Legge 22 maggio 2017, n. 81, che ne definisce le modalità di attuazione e le tutele per i lavoratori. In particolare, l’articolo 18, comma 3-bis, stabilisce che i datori di lavoro devono garantire condizioni di parità tra lavoratori agili e tradizionali, assicurando la tutela della salute e della sicurezza anche nel lavoro da remoto. L’INAIL, in linea con queste disposizioni, ha sviluppato strumenti specifici per la valutazione del rischio stress lavoro-correlato in contesti di lavoro agile, tenendo conto delle peculiarità introdotte dall’uso della tecnologia e dalla flessibilità organizzativa.

Strumenti integrativi per la valutazione del rischio

La monografia dell’INAIL presenta un modulo specifico per la valutazione del rischio stress lavoro-correlato nel contesto del lavoro da remoto e dell’innovazione tecnologica.

Questo modulo integra strumenti per identificare e gestire i rischi psicosociali emergenti, come l’invasione delle tecnologie nella sfera privata, la complessità degli strumenti digitali, l’accettabilità delle nuove tecnologie, le criticità del lavoro da remoto e le dinamiche di interazione a distanza.

Un elemento centrale del modulo è l’Appendice 6, che contiene una “Scheda di supporto alla conduzione del focus group per l’approfondimento dei risultati della valutazione approfondita e la proposta di azioni di intervento”. Questa scheda guida la raccolta di informazioni attraverso focus group con i lavoratori, mirati a sistematizzare i risultati emersi dal questionario per la valutazione approfondita del rischio stress lavoro-correlato.

Implicazioni pratiche per aziende e lavoratori

L’adozione del modulo INAIL comporta diverse implicazioni pratiche per le aziende e i lavoratori:

  • Valutazione mirata dei rischi: le aziende possono identificare con maggiore precisione i fattori di stress specifici del lavoro da remoto, come il sovraccarico informativo, la difficoltà di separare vita privata e professionale, e l’isolamento sociale.
  • Interventi correttivi: i risultati dei focus group possono portare all’implementazione di misure correttive, come la definizione di orari di lavoro più chiari, la formazione sull’uso delle tecnologie, e l’adozione di pratiche per favorire il benessere psicologico.
  • Coinvolgimento dei lavoratori: la partecipazione attiva dei lavoratori nei focus group favorisce una maggiore consapevolezza dei rischi e una cultura della prevenzione condivisa.
  • Adattamento continuo: il modulo consente un monitoraggio continuo delle condizioni di lavoro, permettendo alle aziende di adattare le proprie politiche in risposta ai cambiamenti tecnologici e organizzativi.
La sostenibilità conviene: il Rapporto ASviS 2025 ribalta il mito del conflitto con la competitività

La sostenibilità conviene: il Rapporto ASviS 2025 ribalta il mito del conflitto con la competitività

Il Rapporto di Primavera 2025 dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (Rapporto ASviS 2025), sviluppato con Oxford Economics, offre un’analisi approfondita degli scenari economici futuri per l’Italia al 2035 e al 2050. Il documento sfata un luogo comune ricorrente: quello secondo cui competitività e sostenibilità sarebbero obiettivi in contrasto. I dati contenuti nel Rapporto ASviS 2025 dimostrano, al contrario, che investire nella sostenibilità produce effetti positivi e misurabili sul PIL, sull’occupazione e sulla competitività delle imprese.

Sviluppo sostenibile e normativa italiana: l’evoluzione del Rapporto ASviS 2025

La sostenibilità è un principio ormai strutturato nelle strategie economiche nazionali e internazionali. In Italia, il quadro normativo ha subito importanti aggiornamenti negli ultimi anni, a partire dalla modifica della Costituzione nel 2022: l’articolo 9 ora include esplicitamente la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi. Questo rafforza l’impegno del Paese L’equilibrio c’è ed è importante verso gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, già adottati dal Governo e dalle istituzioni pubbliche come bussola per le politiche di crescita.

Quattro scenari al 2050: dal ritardo nella transizione al modello Net Zero

Il Rapporto ASviS 2025 presenta quattro scenari proiettati al 2035 e al 2050. Ogni scenario esplora gli effetti economici, sociali e ambientali di diverse scelte politiche e industriali:

  • Transizione ritardata: un approccio conservativo e attendista che rallenta l’introduzione delle misure ambientali. Questo scenario penalizza il PIL e rallenta la crescita occupazionale;
  • Net Zero Transformation: una transizione decisa verso la decarbonizzazione, sostenuta da investimenti strutturali in innovazione, digitalizzazione ed economia circolare. In questo scenario il PIL cresce fino all’8,4% in più entro il 2050 rispetto alla media;
  • Scenario business as usual: mantenimento delle politiche attuali senza ulteriori investimenti strutturali, con risultati mediocri e disomogenei;
  • Catastrofe climatica: nessuna azione concreta per contrastare la crisi climatica, con conseguenze devastanti sul piano ambientale, sanitario ed economico.

Lo scenario Net Zero emerge come quello con i migliori risultati in termini di occupazione, innovazione e competitività, dimostrando che la sostenibilità può diventare leva di sviluppo economico.

Impatto concreto della transizione sostenibile su imprese e lavoro

Il Rapporto ASviS 2025 evidenzia benefici chiari per le imprese italiane che investono in sostenibilità:

  • Miglioramento della produttività: le aziende che adottano pratiche sostenibili tendono a essere più innovative, resilienti e attrattive per i talenti;
  • Riduzione dei costi: l’efficienza energetica, la digitalizzazione e l’adozione di pratiche di economia circolare contribuiscono ad abbassare i costi operativi nel medio-lungo periodo;
  • Crescita dell’occupazione green: la transizione genera nuovi profili professionali legati all’ambiente, all’energia, alla digitalizzazione, favorendo l’inclusione dei giovani nel mondo del lavoro;
  • Maggiore attrattività verso i finanziamenti: le imprese impegnate nella sostenibilità risultano più interessanti per gli investitori, in un contesto in cui i criteri ESG (ambientali, sociali e di governance) guidano sempre più le scelte del mercato.

Superare i falsi dilemmi: sostenibilità e competitività sono alleate

Uno dei punti centrali del Rapporto ASviS 2025 è la decostruzione del cosiddetto “falso dilemma”, ossia la convinzione secondo cui l’impegno verso la sostenibilità debba necessariamente sacrificare la crescita economica. I dati e le proiezioni offerte nel documento dimostrano che è vero l’opposto: solo una strategia integrata che unisca sostenibilità ambientale, innovazione e competitività potrà garantire al sistema Italia una crescita stabile e inclusiva.

L’invito alle istituzioni è quindi chiaro: definire una strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile che dia stabilità normativa, incentivi e supporto alle imprese virtuose, valorizzando il ruolo delle PMI nella transizione.

Violenza di genere nei luoghi di lavoro: il ruolo strategico dell’HSE Manager nella prevenzione e gestione

Violenza di genere nei luoghi di lavoro: il ruolo strategico dell’HSE Manager nella prevenzione e gestione

La violenza di genere sul lavoro rappresenta una problematica crescente che impatta negativamente sul benessere dei lavoratori e sull’efficienza organizzativa. In questo contesto, l’HSE Manager assume un ruolo cruciale nel prevenire e gestire tali situazioni, contribuendo a creare ambienti di lavoro sicuri e inclusivi.

Normativa di riferimento sulla violenza di genere nei luoghi di lavoro

La normativa italiana ha recepito la Convenzione n. 190 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) sull’eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro, adottata a Ginevra il 21 giugno 2019 e ratificata con la Legge 15 gennaio 2021, n. 4.

Questa convenzione stabilisce che le violenze e le molestie, comprese quelle di genere, devono essere riconosciute come violazioni dei diritti umani e ostacoli all’uguaglianza di opportunità. Inoltre, il Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, impone al datore di lavoro l’obbligo di valutare tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, inclusi quelli derivanti da atti di violenza e molestie.

Competenze e responsabilità dell’HSE Manager nella prevenzione della violenza di genere

L’HSE Manager, figura professionale definita dalla norma UNI 11720:2025, è responsabile della gestione integrata dei processi relativi alla salute, sicurezza e ambiente all’interno dell’organizzazione. Nel contesto della prevenzione della violenza di genere, l’HSE Manager deve:

  • Elaborare e implementare politiche aziendali che promuovano un ambiente di lavoro rispettoso e inclusivo, con tolleranza zero verso qualsiasi forma di violenza o molestia.
  • Condurre valutazioni dei rischi specifiche per identificare potenziali situazioni di pericolo legate alla violenza di genere, utilizzando strumenti come il questionario QUE.RI.MO.VI.
  • Organizzare programmi di formazione e sensibilizzazione per tutti i livelli dell’organizzazione, al fine di riconoscere, prevenire e gestire comportamenti inappropriati.
  • Collaborare con altre funzioni aziendali, come le risorse umane e i comitati per le pari opportunità, per sviluppare strategie integrate di prevenzione e intervento.
  • Stabilire procedure chiare per la segnalazione e la gestione di incidenti di violenza o molestia, garantendo riservatezza e supporto alle vittime.

Strumenti e misure operative per contrastare la violenza di genere sul lavoro

Per affrontare efficacemente la violenza di genere nei luoghi di lavoro, l’HSE Manager può adottare diverse misure operative:

  • Creazione di canali di segnalazione anonimi, che permettano ai dipendenti di riportare episodi di violenza o molestia senza timore di ritorsioni.
  • Installazione di cartellonistica informativa che evidenzi l’impegno dell’azienda contro la violenza di genere e fornisca indicazioni su come segnalare eventuali violenze.
  • Collaborazione con centri antiviolenza e servizi di supporto esterni, per offrire assistenza professionale alle vittime.
  • Integrazione della tematica della violenza di genere nei programmi di formazione obbligatoria sulla sicurezza sul lavoro.
  • Monitoraggio continuo e analisi dei dati relativi alle violenze segnalate, per identificare trend e migliorare le strategie di prevenzione.

Implicazioni per le aziende e benefici di un approccio proattivo

Adottare un approccio proattivo nella prevenzione della violenza di genere comporta numerosi vantaggi per le aziende:

  • Miglioramento del clima organizzativo e aumento della fiducia tra i dipendenti.
  • Riduzione dei costi legati all’assenteismo, al turnover e a potenziali contenziosi legali.
  • Rafforzamento della reputazione aziendale, dimostrando un impegno concreto verso la responsabilità sociale e la tutela dei diritti umani.
  • Conformità alle normative vigenti, evitando sanzioni e garantendo un ambiente di lavoro sicuro e rispettoso.
appalti, Appaltatore e responsabilità legale: i chiarimenti della Cassazione sul ruolo di mero esecutore

Appalti, i chiarimenti della Cassazione sul ruolo dell’appaltatore di mero esecutore

La recente ordinanza n. 10231 della Corte di Cassazione, depositata il 18 aprile 2025, affronta un tema cruciale per il settore degli appalti: la responsabilità dell’appaltatore nei casi in cui l’esecuzione dell’opera avvenga esclusivamente secondo istruzioni vincolanti del committente. In particolare, la sentenza si concentra sulla figura dell’appaltatore “nudus minister”, ovvero privo di autonomia tecnica ed esecutiva, sollevando interrogativi sulla possibilità di esonerarlo da responsabilità in caso di vizi dell’opera.

Gli appalti nel Codice Civile: autonomia e rischio a carico dell’impresa

Ai sensi dell’art. 1655 del Codice Civile, gli appalto sono contratti con cui una parte (appaltatore) si obbliga a compiere un’opera o un servizio, con organizzazione dei mezzi necessari e a proprio rischio, in favore di un’altra (committente), dietro corrispettivo in denaro. Dunque, negli appalti il principio cardine è quello dell’autonomia organizzativa e tecnica dell’appaltatore, il quale assume su di sé anche il rischio dell’esecuzione.

Tuttavia, nella prassi, questa autonomia può essere ridimensionata dall’interferenza sostanziale del committente, che impartisce direttive rigide in seno agli appalti, limitando la libertà operativa dell’appaltatore e configurandone un ruolo meramente esecutivo.

Quando l’appaltatore è un “nudus minister”: i requisiti per l’esonero da responsabilità

La Cassazione ha ribadito che la mera esecuzione delle opere secondo le indicazioni progettuali del committente non basta, di per sé, a escludere la responsabilità dell’impresa esecutrice.

In base all’art. 1667 c.c., infatti, l’appaltatore resta responsabile per i vizi e difetti dell’opera, a meno che non siano rispettate determinate condizioni.

In particolare, per vedersi riconoscere l’esonero da responsabilità, l’appaltatore deve dimostrare:

  • di aver manifestato un dissenso tecnico motivato rispetto al progetto o alle modalità di esecuzione imposte dal committente;
  • di aver evidenziato le criticità progettuali o costruttive in modo documentato;
  • che l’esecuzione sia avvenuta esclusivamente per volontà esplicita del committente, in una situazione di tale soggezione da escludere qualsiasi margine decisionale da parte dell’impresa.

Senza tali presupposti, la responsabilità permane in capo all’appaltatore, che è tenuto a eseguire l’opera secondo i criteri della regola d’arte e con la diligenza richiesta all’esperto del settore (art. 1176, comma 2, c.c.).

Il caso concreto: responsabilità condivise tra impresa, subappaltatore e committente

L’ordinanza trae origine da una controversia tra i proprietari di un immobile e un’impresa edile che stava realizzando un fabbricato adiacente. Gli attori lamentavano danni strutturali al proprio edificio, ricollegabili agli scavi e alle palificazioni eseguiti durante il cantiere. L’impresa principale, a sua volta, aveva chiamato in causa il subappaltatore delle opere di fondazione per essere sollevata da eventuali obblighi risarcitori.

La Cassazione, nel dirimere il contenzioso, ha confermato che anche in presenza di subappalto o di direttive imposte dal committente, l’appaltatore resta responsabile a meno che non provi di aver esercitato tutte le cautele dovute e di aver formalmente segnalato le criticità.

L’onere di diligenza attiva per l’impresa appaltatrice

La sentenza sottolinea l’importanza dell’“onere di diligenza attivache grava sull’appaltatore, il quale non può limitarsi a eseguire passivamente le indicazioni ricevute. Anche in presenza di progetti errati o interferenze direttive del committente, l’impresa ha l’obbligo di segnalare eventuali anomalie, proporre soluzioni alternative, documentare il proprio dissenso e, se necessario, interrompere i lavori.

In assenza di tali comportamenti, eventuali difformità, danni o vizi nell’opera degli appalti possono essere integralmente imputati all’appaltatore, anche quando non vi sia stata piena autonomia decisionale.

Implicazioni per le imprese del settore appalti

Questa pronuncia assume un valore operativo rilevante per tutte le imprese edili e impiantistiche.

La figura dell’appaltatore “nudus minister” non costituisce uno scudo automatico di irresponsabilità. Al contrario, essa richiede un comportamento trasparente, documentato e orientato alla prevenzione.

Le imprese sono quindi chiamate a:

  • formalizzare ogni obiezione tecnica ai progetti ricevuti;
  • tenere traccia delle comunicazioni con la committenza;
  • redigere report tecnici per ogni criticità rilevata;
  • definire chiaramente i limiti delle proprie responsabilità nei contratti e subappalti.
Come possiamo aiutarti?