Disfunzioni posturali: linee guida nazionali dal Ministero della Salute

Disfunzioni posturali: linee guida nazionali dal Ministero della Salute

Il Ministero della Salute ha pubblicato un documento ufficiale che definisce criteri e standard nazionali per la classificazione, l’inquadramento e la misurazione delle disfunzioni posturali.

Queste linee guida forniscono un modello condiviso per riconoscere e affrontare i disturbi legati all’allineamento del corpo, che possono avere ripercussioni importanti sulla qualità della vita, sull’efficienza motoria e sulla salute muscolo-scheletrica. Il concetto base è quello di “postura ideale”, intesa come la disposizione dei segmenti corporei in una posizione che consente una distribuzione equilibrata dei carichi, un utilizzo minimo dell’energia muscolare e un movimento fluido e controllato. La definizione di postura ideale è fondamentale per poter individuare le deviazioni e classificare le disfunzioni in modo coerente, utile sia a fini diagnostici che preventivi.

Percorso di valutazione delle disfunzioni posturali

Le linee guida individuano una metodologia diagnostica strutturata e replicabile, basata su una sequenza logica di valutazione detta “cranio-caudale”. Il processo inizia con un’anamnesi approfondita e prosegue con osservazioni cliniche, esami strumentali, test posturali e indagini funzionali. Gli operatori sanitari, in particolare fisiatri, fisioterapisti e medici del lavoro, sono chiamati a individuare eventuali squilibri muscolari, alterazioni del tono posturale, compensazioni o rigidità.

Un’attenzione particolare è posta all’integrazione di più fonti informative, così da restituire un quadro completo e dinamico della postura del soggetto. Le cinque raccomandazioni centrali del documento sono: la definizione di un assetto posturale corretto, la valutazione clinica e strumentale della postura, l’utilizzo di un percorso strutturato di analisi, la diagnosi differenziale tra sintomi e cause e, infine, la pianificazione di strategie terapeutiche e preventive coerenti con il quadro complessivo del paziente.

Implicazioni operative delle linee guida

Le linee guida non si limitano all’ambito sanitario ma hanno ricadute importanti anche sul piano ergonomico e lavorativo. Il documento sottolinea come disfunzioni posturali non trattate possano evolversi in sindromi dolorose croniche, ridurre l’efficienza nei movimenti, aumentare il rischio infortunistico e contribuire all’insorgenza di patologie professionali. In questo senso, l’adozione di queste linee guida offre uno strumento fondamentale per la prevenzione nei luoghi di lavoro e nelle scuole, oltre che nella riabilitazione clinica. Si promuove così un approccio multidisciplinare alla salute posturale, che coinvolge medici, tecnici della prevenzione, educatori e datori di lavoro. Le linee guida saranno oggetto di aggiornamento ogni quattro anni per garantire coerenza con l’evoluzione scientifica e con le migliori pratiche disponibili.

Come lavorare all’interno di serbatoi industriali

Come lavorare all’interno di serbatoi industriali

Lavorare all’interno di serbatoi industriali rappresenta una delle attività a più alto rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori, a causa della possibilità di esposizione a sostanze pericolose, atmosfere esplosive o carenza di ossigeno. Il DLgs 81/2008, all’articolo 66, stabilisce che i lavori nei contenitori e recipienti devono essere eseguiti solo previa verifica dell’assenza di sostanze nocive o infiammabili e con un’efficace ventilazione.

La legge prevede inoltre la presenza obbligatoria di un operatore all’esterno del serbatoio, sempre in contatto con chi opera all’interno e pronto ad attivare le procedure di emergenza in caso di necessità. È fondamentale che l’accesso avvenga solo dopo un’accurata valutazione dei rischi e con l’impiego di dispositivi di protezione individuale adeguati come cinture di sicurezza, dispositivi di recupero, autorespiratori e indumenti antistatici.

L’atmosfera interna deve essere monitorata costantemente attraverso strumenti portatili o fissi in grado di rilevare carenze di ossigeno o concentrazioni pericolose di gas, vapori e polveri. Il rilevamento deve essere eseguito a diversi livelli del serbatoio, considerando la diversa densità dei gas, e deve proseguire durante tutta la permanenza del lavoratore all’interno.

Bonifica, ventilazione e gestione operativa nei serbatoi industriali

Una delle attività preliminari più delicate è la bonifica del serbatoio, che consiste nella sua completa pulizia da residui chimici, oli o vapori infiammabili e nella successiva ventilazione forzata. Questa fase è fondamentale per garantire condizioni di lavoro sicure, ed è possibile solo con attrezzature idonee come pompe, ventilatori antideflagranti e strumenti per la raccolta dei residui liquidi. Durante la pulizia, è necessario evitare l’uso di strumenti che possano generare scintille, scegliendo invece utensili antiscintilla. Una volta che il serbatoio è stato bonificato e l’atmosfera è stata certificata come sicura, può iniziare l’intervento vero e proprio, che può includere operazioni di manutenzione, ispezione o riparazione. Anche in questa fase è obbligatoria la presenza del cosiddetto “sorvegliante esterno”, una figura formata specificamente per vigilare sull’attività e intervenire in caso di emergenza, attivando sistemi di sollevamento o soccorso. Il sorvegliante deve essere dotato di autorespiratore e mantenere un contatto continuo con il lavoratore all’interno del serbatoio.

Formazione e responsabilità

Il datore di lavoro ha l’obbligo di formare adeguatamente tutto il personale coinvolto nelle attività in ambienti confinati, non solo sugli aspetti tecnici e procedurali, ma anche sulle modalità di comunicazione, le emergenze e l’utilizzo corretto dei dispositivi di protezione. Devono essere predisposti piani di emergenza dettagliati, comprensivi di modalità di evacuazione, uso di attrezzature di soccorso, presenza di estintori, dispositivi di rilevamento e ventilazione d’emergenza.

Inoltre, l’accesso al serbatoio deve essere autorizzato solo dopo aver verificato che tutti i sistemi di sicurezza siano operativi e documentati, incluse le schede di intervento, le valutazioni del rischio e gli attestati di formazione dei lavoratori coinvolti. La sicurezza in queste attività si basa sull’integrazione tra misure tecniche (dispositivi e impianti adeguati), organizzative (procedure codificate e ruoli definiti) e comportamentali (conoscenze, attenzione e rispetto delle norme). L’approccio corretto non può essere improvvisato, ma deve derivare da una cultura della prevenzione radicata e sostenuta da azioni concrete, controlli periodici e responsabilità chiare.

Rischi derivanti dalle ROA: laser industriali, lampade UV e IR

Rischi derivanti dalle ROA: laser industriali, lampade UV e IR

La normativa italiana in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in particolare il Capo V, Titolo VIII del DLgs 81/2008, impone al datore di lavoro l’obbligo di valutare il rischio da esposizione a radiazioni ottiche artificiali (ROA).

Queste comprendono le radiazioni ultraviolette (UV), la luce visibile e gli infrarossi (IR), tutte comprese nello spettro tra 100 nanometri e 1 millimetro. Le sorgenti possono includere apparecchiature per la saldatura, laser industriali, lampade UV nei trattamenti estetici, riscaldatori IR e illuminazione LED ad alta intensità. Le radiazioni possono avere effetti termici o fotochimici su occhi e pelle, con conseguenze come cataratta, ustioni, fotocheratite o invecchiamento precoce cutaneo.

La mancata valutazione del rischio comporta gravi responsabilità per il datore di lavoro, che può incorrere in sanzioni penali fino all’arresto o sanzioni amministrative significative. È fondamentale che la valutazione sia documentata, aggiornata e integrata nel DVR, o nel DUVRI in caso di interferenze tra più imprese.

Analisi delle sorgenti e criteri di valutazione del rischio ROA

La valutazione del rischio ROA deve essere effettuata attraverso misurazioni strumentali o, dove possibile, tramite calcoli certificati, tenendo conto di diversi parametri: lunghezza d’onda, intensità, durata dell’esposizione e modalità di utilizzo delle apparecchiature. È inoltre necessario confrontare i valori rilevati con i limiti di esposizione previsti dalla normativa e dalle direttive europee.

Le sorgenti artificiali vanno classificate in coerenti (come i laser) e incoerenti (come le lampade o i LED). In alcuni casi specifici, se l’esposizione è minima o gli strumenti rientrano in categorie di rischio molto basso, la valutazione può essere semplificata e non richiedere misurazioni approfondite. Tuttavia, anche in questi casi, deve essere presente una giustificazione tecnica documentata. Sulla base dei risultati, il datore di lavoro è tenuto a stabilire adeguate misure di prevenzione e protezione: dispositivi di protezione individuale specifici per occhi e pelle, delimitazioni delle aree a rischio, segnaletica, schermature o barriere e, ove necessario, modifica delle modalità operative per ridurre l’esposizione.

Come restare aggiornati sul rischio ROA

Secondo le indicazioni contenute nelle più recenti linee guida nazionali, tra cui quelle redatte da INAIL e ISS, la valutazione del rischio ROA deve essere affidata a personale competente, come esperti in radiazioni ottiche o esperti laser, e deve essere aggiornata con cadenza almeno quadriennale, oppure ogniqualvolta intervengano modifiche significative alle sorgenti, agli ambienti di lavoro o alle condizioni operative.

È essenziale che i lavoratori esposti siano informati e formati sui rischi specifici delle radiazioni ottiche e sulle misure di protezione adottate. In particolare, devono essere tutelati i soggetti sensibili: donne in gravidanza, minori, lavoratori con patologie fotosensibili o trattamenti farmacologici che aumentano il rischio. In tali casi, la sorveglianza sanitaria assume un ruolo decisivo, attraverso la valutazione dell’idoneità e l’eventuale adozione di restrizioni personalizzate. Le misure organizzative, tecniche e formative devono far parte di un sistema più ampio di gestione della sicurezza, che includa monitoraggi periodici, coinvolgimento del medico competente e aggiornamento delle procedure in base all’evoluzione tecnologica e normativa.

Sicurezza sul lavoro nelle ASD: quando lo sport impone responsabilità

Sicurezza sul lavoro nelle ASD: quando lo sport impone responsabilità

Le associazioni e società sportive dilettantistiche (ASD e SSD), pur operando in ambito non profit, sono soggette agli obblighi di sicurezza previsti dal Decreto Legislativo 81/2008. Il legislatore non prevede esoneri specifici per queste realtà, che spesso impiegano volontari, collaboratori sportivi o lavoratori subordinati. La natura delle attività svolte – dall’utilizzo di attrezzature sportive alla manutenzione di impianti, passando per l’organizzazione di eventi o la gestione logistica – espone infatti a rischi lavorativi reali che devono essere analizzati, prevenuti e gestiti attraverso una corretta valutazione.

Obblighi diversi per ASD e SSD

Nel caso in cui l’associazione sia composta esclusivamente da volontari, non sussiste l’obbligo di redigere il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR). Tuttavia, permane il dovere di garantire un’adeguata informazione sui rischi connessi all’attività, di fornire dispositivi di protezione individuale (DPI) idonei e di assicurare l’uso di attrezzature conformi alla marcatura CE.

Inoltre, per le associazioni che operano in convenzione con enti pubblici, è obbligatorio il rilascio di tessere di riconoscimento per i volontari impiegati.

Quando invece l’organizzazione impiega anche lavoratori retribuiti, oppure volontari in combinazione con personale dipendente, entrano in gioco tutti gli obblighi previsti per il datore di lavoro. Ciò comporta la nomina del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP), la redazione del DVR, la formazione e informazione sui rischi, l’individuazione degli addetti alle emergenze, la sorveglianza sanitaria per le mansioni a rischio e, ove necessario, la nomina del medico competente. Inoltre, l’ente deve predisporre misure di prevenzione per gestire le possibili interferenze tra le attività svolte da volontari e da personale retribuito, al fine di garantire un ambiente sicuro e conforme alla normativa.

La riforma dello sport e l’impatto sul concetto di lavoratore sportivo

Con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo 36/2021, a partire dal 1° luglio 2023, anche i collaboratori sportivi – se retribuiti – sono considerati a tutti gli effetti lavoratori subordinati dal punto di vista della salute e sicurezza sul lavoro. Questo comporta nuovi obblighi per le associazioni, commisurati alla soglia di compenso e alle mansioni assegnate. Se il collaboratore percepisce un compenso inferiore ai 5.000 euro annui, l’ente è tenuto a garantire almeno la formazione base e l’informazione sui rischi, oltre alla fornitura dei DPI. Per compensi superiori, o in presenza di lavoratori minorenni, si applicano in modo completo le disposizioni del DLgs 81/2008, incluse visite mediche, DVR, gestione delle emergenze e sorveglianza sanitaria.

Le ASD e SSD che non si adeguano rischiano sanzioni amministrative e, in caso di infortuni, anche responsabilità penali. La presenza di un solo collaboratore retribuito è sufficiente per attivare gli obblighi normativi, rendendo necessario un aggiornamento delle procedure interne e una maggiore consapevolezza da parte dei dirigenti.

Le differenze tra costi e oneri nella sicurezza nei cantieri

Le differenze tra costi e oneri nella sicurezza nei cantieri

Nel settore dei cantieri temporanei o mobili, il rispetto degli obblighi previsti dal Titolo IV del DLgs 81/2008 comporta la corretta distinzione tra costi della sicurezza e oneri aziendali. La differenziazione è cruciale sia in fase progettuale sia in fase esecutiva, poiché incide direttamente sulla redazione del Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC), sulla formulazione delle offerte economiche in gara d’appalto e sulla gestione concreta del cantiere.

I costi della sicurezza, disciplinati dall’art. 100 del Testo Unico e descritti nel dettaglio nel punto 4 dell’Allegato XV, sono tutte quelle spese sostenute per predisporre misure preventive e protettive che derivano direttamente dalle interferenze tra imprese e dalla necessità di coordinare le attività. Sono costi obbligatoriamente previsti dal Coordinatore per la Sicurezza in fase di Progettazione (CSP) all’interno del PSC, devono essere stimati in modo analitico e riportati nel quadro economico dell’opera. Questi costi non possono essere oggetto di ribasso d’asta e devono essere mantenuti integri in tutte le fasi dell’appalto.

Cosa includono i costi della sicurezza cantieri e come si calcolano

I costi della sicurezza comprendono, tra le altre voci, la realizzazione di ponteggi e parapetti, l’installazione di impianti di terra e antincendio, la segnaletica di sicurezza, i servizi igienici per i lavoratori, la recinzione del cantiere, le vie di fuga, l’illuminazione di emergenza e le riunioni di coordinamento. Ogni voce deve essere calcolata mediante computo metrico estimativo sulla base di prezzari ufficiali o analisi di mercato. Non è consentito stimare i costi applicando percentuali forfettarie sull’importo complessivo dell’opera.

Si distingue inoltre tra costi diretti – riferiti a misure specifiche da attuare per prevenire i rischi interferenti – e costi indiretti, relativi a strutture e servizi comuni a tutto il cantiere. Entrambe le categorie devono essere elencate in modo separato e dettagliato.

Gli oneri aziendali per la sicurezza: responsabilità dell’impresa esecutrice

Diversi dai costi della sicurezza sono gli oneri aziendali, ossia quelle spese che ogni impresa è tenuta a sostenere nell’ambito delle proprie attività per adempiere agli obblighi generali di prevenzione e protezione. Questi oneri, che derivano dall’attuazione del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), includono la formazione dei lavoratori, la sorveglianza sanitaria, la fornitura di dispositivi di protezione individuale (DPI), l’addestramento, l’organizzazione del primo soccorso e la gestione delle emergenze.

A differenza dei costi della sicurezza, gli oneri aziendali non sono stabiliti dal Coordinatore e non vengono inseriti nel PSC, ma sono inclusi nelle offerte economiche presentate dalle imprese concorrenti. Tuttavia, la loro congruità può essere oggetto di verifica da parte della stazione appaltante, soprattutto in caso di offerte anormalmente basse.

Implicazioni operative: trasparenza, prevenzione e conformità normativa

Una corretta distinzione tra costi e oneri della sicurezza consente di garantire l’efficacia delle misure di prevenzione, evitando che voci essenziali siano escluse per effetto dei ribassi in gara. Inoltre, chiarisce le responsabilità tra progettisti, coordinatori, imprese e committenti, riducendo i margini di ambiguità e di contenzioso.

L’aggiornamento dei costi della sicurezza è obbligatorio anche in corso d’opera, qualora intervengano modifiche progettuali, varianti o nuove interferenze. L’inosservanza di tali obblighi può configurare responsabilità anche di natura contrattuale o penale, in caso di incidenti o infortuni.

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