Come adeguare le macchine prive di marcatura CE

Come adeguare le macchine prive di marcatura CE

Le macchine sprovviste di marcatura CE, spesso immesse sul mercato prima del 21 settembre 1996, sono ancora oggi utilizzate in molte realtà produttive. Tuttavia, il loro impiego non può prescindere dal rispetto delle condizioni di sicurezza previste dal DLgs 81/2008, in particolare dall’Allegato V. In assenza della marcatura CE, il datore di lavoro ha l’obbligo di valutare i rischi, eseguire gli adeguamenti necessari e garantire che l’attrezzatura sia conforme ai requisiti essenziali di sicurezza.

Qual è il quadro normativo per le attrezzature non marcate CE

Il riferimento legislativo centrale per l’utilizzo in sicurezza di macchine non marcate CE è l’Allegato V del D.Lgs. 81/2008. Questo allegato stabilisce i requisiti di sicurezza fondamentali che devono essere rispettati per poter continuare a utilizzare tali attrezzature. La normativa prevede che, anche in assenza di marcatura, ogni macchina debba essere sottoposta a una valutazione del rischio che tenga conto delle caratteristiche costruttive, delle condizioni d’uso e delle possibili situazioni pericolose che potrebbero presentarsi durante l’attività lavorativa.

Le fasi da seguire per procedere all’adeguamento

Il processo di adeguamento inizia con un’accurata valutazione dei rischi. Questa analisi deve essere condotta da un tecnico competente, secondo i principi delle norme tecniche di riferimento, come la UNI EN ISO 12100. Successivamente, si passa alla verifica delle condizioni reali della macchina e all’identificazione degli interventi necessari: potrebbe trattarsi di installare ripari fissi, comandi a due mani, pulsanti di emergenza, barriere fotoelettriche o altre soluzioni di sicurezza.

Una volta realizzati gli interventi, è essenziale procedere a un collaudo, finalizzato a verificare l’efficacia delle misure adottate. Il percorso si completa con la redazione della documentazione tecnica aggiornata, la formazione degli operatori sull’uso in sicurezza della macchina e l’aggiornamento del DVR aziendale.

Le responsabilità del datore di lavoro nel processo di adeguamento

La responsabilità dell’adeguamento è sempre in capo al datore di lavoro. Anche se la macchina è stata acquistata regolarmente prima del 1996, è il datore che deve garantirne l’utilizzo in sicurezza. In nessun caso è possibile demandare questa responsabilità al produttore, soprattutto se la macchina è obsoleta o fuori produzione.

Va inoltre chiarito che la presenza della marcatura CE non esonera da responsabilità: se nel tempo la macchina è stata modificata, utilizzata in modo diverso dal previsto o sottoposta a usura significativa, il datore ha l’obbligo di rivalutarne la sicurezza e, se necessario, apportare nuove modifiche o sostituirla.

Quando conviene adeguare e quando è preferibile sostituire

L’adeguamento può richiedere investimenti significativi, soprattutto nel caso di macchinari datati, privi di documentazione tecnica o difficili da modificare senza compromettere le funzionalità originarie. In questi casi, è legittimo valutare l’opportunità della dismissione e della sostituzione con attrezzature nuove e conformi.

Tuttavia, se l’intervento di messa in sicurezza è tecnicamente fattibile e sostenibile economicamente, l’adeguamento resta la strada da percorrere. La scelta va supportata da una perizia tecnica, che dimostri la possibilità di raggiungere un livello di sicurezza equivalente a quello richiesto dalla normativa per le macchine marcate CE.

Sanzioni e rischi in caso di inadempienza

L’utilizzo di macchine non conformi espone il datore di lavoro a sanzioni amministrative e penali. Le sanzioni pecuniarie possono variare da alcune migliaia di euro fino al sequestro dell’attrezzatura. In caso di infortunio, le responsabilità civili e penali possono diventare particolarmente gravi, specie se viene dimostrata la mancata valutazione del rischio o l’omissione di interventi correttivi noti e tecnicamente possibili.

Anche in assenza di eventi lesivi, un controllo ispettivo può evidenziare carenze formali e sostanziali, portando a prescrizioni e obblighi di adeguamento con tempistiche stringenti. Per questo motivo è fondamentale agire preventivamente, con un’analisi completa e una gestione documentale trasparente e aggiornata.

Sorveglianza sanitaria e lavoratori stagionali in agricoltura

Sorveglianza sanitaria e lavoratori stagionali in agricoltura

Nel settore agricolo, i lavoratori stagionali rappresentano una realtà rilevante, soprattutto nel periodo di raccolta. Una recente casistica evidenzia che, in caso di passaggio di personale da un’azienda all’altra – ad esempio per affitto di ramo d’azienda – la sorveglianza sanitaria non è automaticamente trasferibile: l’impresa che assume deve richiedere visite mediche preventive ex novo, anche se i rischi associati restano gli stessi.

La normativa del DLgs 81/2008, all’articolo 41, stabilisce chiaramente che il medico competente deve effettuare una visita al momento dell’assunzione. Solo grazie a una disposizione introdotta nel 2023, il medico può richiedere la documentazione medica precedente, ma senza autorizzare l’omissione della visita originaria.

Visite mediche con efficacia limitata: il caso dei lavoratori agricoli stagionali

Il Decreto Interministeriale del 27 marzo 2013 ha semplificato gli adempimenti sanitari per i lavoratori stagionali agricoli con meno di 51 giornate lavorative annue. In quel contesto, una visita medica preventiva, se eseguita e giudicata idonea, aveva validità biennale e poteva essere utilizzata anche in più aziende.

Tuttavia, questa semplificazione è limitata: riguarda solo attività semplici, categorie specifiche di lavoratori, e prescinde dalla generalità di altre professionalità; la regola generale mantiene l’obbligo di visita per ogni assunzione.

Il trasferimento tra imprese e la necessità di visite nuove

Quando un lavoratore passa ad altra azienda, anche per lo stesso tipo di attività, l’impresa entrante è tenuta ad attivare una nuova sorveglianza sanitaria. L’affermazione è dettata dal fatto che il medico competente e l’organizzazione aziendale di sicurezza cambiano: la visita svolta presso il precedente datore di lavoro non può sostituire quella ex novo. Solo la documentazione (cartella sanitaria) può essere presa in esame, ma non sostituisce la nuova valutazione medica.

Mediatori multipli: come comportarsi con due medici competenti

In un caso particolare, l’azienda acquirente può nominare come medico competente lo stesso professionista che operava nella precedente azienda. Se ciò avviene, l’organizzazione sanitaria interna (SPP) dovrà individuare tra i medici coinvolti un coordinatore, che gestirà centralmente la sorveglianza sanitaria e le relative comunicazioni. In questo modo, si garantisce un approccio unitario, pur mantenendo separati gli obblighi previsti dalla legge.

Impatti pratici per le aziende agricole

  • Micro e piccole imprese che assumono lavoratori stagionali debbono prestare attenzione alla regola delle 51 giornate: solo in quel caso è ammessa la visita biennale multititolare.
  • Per ogni altro tipo di assunzione (anche per affitto ramo d’azienda) vale l’obbligo di visita preventiva, con registrazione della cartella sanitaria.
  • Le aziende possono condividere il medico competente solo purché venga nominato un coordinatore e si strutturi un ambito organizzativo conforme alla normativa vigente.
  • Infine, la carta sanitaria del lavoratore deve essere trasmessa per essere presa in considerazione, senza però sostituire la visita ex novo.
Sicurezza degli scavi per fondazioni: obblighi tecnici e prevenzione dei rischi

Scavi per fondazioni: obblighi tecnici e prevenzione

La realizzazione di scavi per opere di fondazione o per la posa di impianti interrati rappresenta una delle fasi più critiche nel contesto dei cantieri temporanei o mobili. La normativa sulla sicurezza, in particolare il DLgs 81/2008, impone precisi obblighi per garantire la stabilità del terreno e la protezione dei lavoratori. È necessario affrontare queste attività con un approccio tecnico e pianificato, partendo da una corretta valutazione del terreno e dei rischi connessi alla profondità e alla conformazione dello scavo.

Tipologie di scavo e peculiarità operative

Gli scavi per fondazioni si distinguono per larghezze rilevanti e pareti verticali, spesso in assenza di percorsi di fuga rapidi. In questi contesti, il drenaggio può risultare difficoltoso, specialmente in presenza di acqua di falda o piogge intense. Gli scavi per servizi interrati, invece, hanno generalmente sezioni più contenute ma si sviluppano in lunghezza, con vincoli maggiori legati allo spazio operativo e alla necessità di garantire continuità nei lavori. In entrambi i casi, la gestione della sicurezza deve essere affrontata con strumenti e soluzioni progettuali idonei.

I rischi principali: cedimenti e cadute accidentali

Due sono i pericoli maggiormente ricorrenti durante le attività di scavo: il rischio di franamento dei fronti e quello di caduta all’interno delle trincee. Il cedimento del terreno può essere causato da vibrazioni, piogge, eccesso di materiali sul ciglio dello scavo o condizioni geotecniche non adeguatamente valutate. Le cadute, invece, possono avvenire per disattenzione, mancanza di parapetti o scarsa visibilità, e coinvolgere sia operatori sia persone esterne.

Questi eventi possono provocare infortuni gravi o mortali, rendendo indispensabile l’adozione di misure collettive di protezione già in fase di progettazione del cantiere.

Armature e protezioni per garantire la stabilità

L’utilizzo di armature di sostegno è obbligatorio negli scavi profondi o in quelli con pareti verticali non inclinate. Le strutture di contenimento devono essere ancorate correttamente, aderire al terreno e resistere alle sollecitazioni meccaniche e ai carichi accidentali. In caso di trincee profonde oltre 1,50 metri, la presenza di armature è un requisito minimo inderogabile.

Oltre alle armature, è necessario installare parapetti nei punti esposti a rischio caduta. Questi devono avere un’altezza minima di un metro, essere resistenti e dotati di tavola fermapiede. Passerelle e rampe d’accesso agli scavi devono rispettare dimensioni minime e criteri di stabilità, per consentire il transito sicuro degli operatori e dei mezzi.

Condizioni ambientali che aumentano il livello di rischio

Le condizioni climatiche e ambientali possono modificare drasticamente il comportamento del terreno. L’umidità, la presenza di acqua nel fondo dello scavo, il gelo e le piogge improvvise rendono instabili le pareti e incrementano il rischio di smottamenti. È pertanto necessario prevedere sistemi di drenaggio, pompe per l’emungimento e, se richiesto, barriere per impedire l’ingresso dell’acqua.

In presenza di terreni disomogenei o instabili, è obbligatorio intensificare i controlli tecnici e rivedere le misure di protezione. Gli operatori devono essere informati tempestivamente sulle variazioni ambientali che possono influenzare la sicurezza del lavoro in trincea.

Il DVR e la gestione documentale degli scavi

Il Documento di Valutazione dei Rischi deve contenere una sezione dedicata agli scavi. Questa parte deve riportare le caratteristiche del terreno, la profondità e la tipologia dello scavo, le attrezzature utilizzate, i rischi presenti e le misure adottate per prevenirli. Ogni modifica sostanziale alle condizioni di scavo, come un cambiamento del tracciato, della profondità o delle caratteristiche del suolo, impone un aggiornamento puntuale del DVR.

Inoltre, il documento deve contenere indicazioni chiare sulla gestione delle emergenze e sull’eventuale utilizzo di dispositivi di allarme o comunicazione in caso di crollo.

Ruoli e responsabilità in fase esecutiva

Il rispetto delle regole tecniche negli scavi è una responsabilità condivisa. Il datore di lavoro, il coordinatore per la sicurezza e i tecnici progettisti devono operare in sinergia, garantendo la corretta progettazione e realizzazione delle opere. I preposti e gli operatori devono essere formati e vigilare sull’integrità delle protezioni.

La mancata adozione delle misure minime previste dalla normativa può comportare sanzioni amministrative e penali. Le imprese esecutrici sono tenute a garantire che le operazioni di scavo siano svolte solo dopo aver attuato tutte le misure necessarie alla prevenzione dei rischi.

MOCA: gestione e sicurezza dei materiali a contatto con alimenti

MOCA: gestione e sicurezza dei materiali a contatto con alimenti

I MOCA, ovvero i Materiali e Oggetti destinati al Contatto con Alimenti, comprendono un’ampia gamma di prodotti come imballaggi, utensili, contenitori, macchinari e superfici che possono entrare in contatto diretto o indiretto con i cibi. La normativa in materia impone che questi materiali non trasferiscano sostanze in grado di nuocere alla salute umana, né alterino la composizione degli alimenti o le loro caratteristiche organolettiche.

Dal regolamento europeo alla disciplina nazionale

Il riferimento principale è il Regolamento CE 1935/2004, che stabilisce requisiti generali per tutti i materiali destinati al contatto alimentare. Tale regolamento è affiancato dal Regolamento CE 2023/2006, che disciplina le buone pratiche di fabbricazione, fondamentali per assicurare qualità e sicurezza costanti nella produzione.

In Italia, il DLgs 29/2017 ha recepito la normativa europea e introdotto un sistema sanzionatorio specifico in caso di inosservanza. Le imprese che producono, trasformano o utilizzano MOCA sono tenute a garantire la conformità dei materiali attraverso una dichiarazione scritta, che deve accompagnare ogni prodotto destinato all’uso alimentare. Questo documento ha una funzione chiave in termini di rintracciabilità e responsabilità.

Categorie di materiali interessati: rischi e specificità

L’elenco delle categorie coperte dalla normativa comprende materiali plastici, metalli e leghe, vetro, carta e cartone, ceramica, gomma, silicone, legno, tessili e materiali rivestiti. Ciascun materiale presenta criticità specifiche: ad esempio, la migrazione di metalli pesanti dai contenitori metallici, il rilascio di sostanze organiche nei polimeri plastici, oppure la porosità di ceramiche e materiali naturali che può compromettere l’igiene.

Per ciascuna categoria, sono previsti regolamenti specifici o linee guida tecniche che stabiliscono i limiti di migrazione, le condizioni d’uso e le modalità di verifica.

Obblighi per le aziende alimentari e gestione nel sistema HACCP

Le aziende che operano nel settore alimentare devono integrare nel loro sistema di autocontrollo HACCP anche la gestione dei MOCA. È necessario documentare l’origine dei materiali utilizzati, conservarne le dichiarazioni di conformità, indicare le condizioni di impiego e pianificare controlli periodici sulle forniture.

La documentazione deve essere sempre aggiornata e facilmente accessibile in caso di ispezione da parte dell’autorità competente. In caso di utilizzo di materiali attivi o intelligenti, ossia in grado di modificare le caratteristiche dell’alimento o interagire con esso, sono richiesti ulteriori test specifici a supporto dell’idoneità.

Le conseguenze in caso di non conformità

La mancata conformità dei MOCA comporta sanzioni rilevanti, come previsto dal DLgs 29/2017. Le ammende possono arrivare fino a 80.000 euro, in base alla gravità della violazione. Le infrazioni più comuni includono l’assenza della dichiarazione di conformità, l’uso di materiali non certificati, la mancanza di tracciabilità e il superamento dei limiti di migrazione delle sostanze.

Anche la semplice inosservanza delle buone pratiche di fabbricazione può costituire violazione sanzionabile, a testimonianza dell’importanza attribuita alla prevenzione dei rischi per la salute pubblica.

Strumenti operativi a supporto della conformità

Per facilitare la gestione dei MOCA, molte imprese utilizzano strumenti digitali integrati nei software per la sicurezza alimentare, che permettono di catalogare i materiali utilizzati, archiviare le dichiarazioni di conformità e pianificare i controlli periodici. Questi strumenti risultano particolarmente utili nelle piccole e medie imprese che devono gestire fornitori, materiali diversi e audit ispettivi.

In ogni caso, la conformità ai requisiti normativi non può essere delegata: resta una responsabilità diretta dell’impresa, che deve garantire prodotti sicuri lungo tutta la filiera alimentare.

Recinzione del cantiere: una misura essenziale di sicurezza

Recinzione del cantiere: una misura essenziale di sicurezza

La recinzione di un’area di cantiere è una misura di prevenzione imprescindibile e non un semplice adempimento formale. Lo stabilisce chiaramente l’art. 109 del DLgs 81/2008, che impone la delimitazione dell’area per impedire l’accesso a soggetti non autorizzati. Questo obbligo riguarda qualsiasi cantiere temporaneo o mobile, a prescindere dalla sua dimensione o durata, e ha come obiettivo primario la tutela dell’incolumità pubblica oltre che quella dei lavoratori.

Funzioni della recinzione: contenimento, prevenzione e ordine operativo

Oltre a delimitare fisicamente lo spazio, la recinzione svolge diverse funzioni operative e protettive. Riduce il rischio di intrusione da parte di estranei, limita la dispersione di polveri e detriti verso l’esterno, impedisce cadute accidentali in zone pericolose, e contribuisce al controllo degli accessi. In aggiunta, crea un confine visibile tra area di lavoro e spazio pubblico, migliorando l’organizzazione logistica del cantiere stesso.

Affinché la sua funzione sia effettiva, la recinzione deve rimanere integra, stabile e continua per tutta la durata dell’attività. Se in alcune fasi si rende necessario smontarla, anche solo parzialmente, è obbligatorio adottare misure alternative equivalenti: come l’impiego di barriere mobili, cartellonistica ben visibile o, nei casi più critici, la sorveglianza attiva da parte del personale incaricato.

Una sola omissione basta a generare responsabilità

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 35525 del 2024, ha confermato che la mancanza anche solo parziale di recinzione rappresenta una violazione grave delle norme di sicurezza. Il caso riguardava un’impresa che aveva lasciato aperto un varco di accesso verso una zona pedonale, contravvenendo all’obbligo di impedire l’ingresso a soggetti non autorizzati. Nonostante il ripristino successivo della recinzione, la Corte ha ritenuto legittima la sanzione, sottolineando che la condotta aveva esposto terzi a un pericolo concreto.

Il ricorso dell’impresa, fondato sulla presunta tenuità del fatto e sull’assenza di precedenti, è stato respinto. Secondo la Cassazione, la sicurezza collettiva ha un valore tale da rendere irrilevanti eventuali attenuanti. È sufficiente una sola omissione per far scattare la responsabilità amministrativa o penale, a seconda della gravità dell’esposizione al rischio.

Obblighi concreti per committenti, appaltatori e coordinatori

Nel sistema di responsabilità delineato dal DLgs 81/2008, l’obbligo di recintare l’area di cantiere ricade sul datore di lavoro, ma coinvolge anche figure come il committente, l’appaltatore e i coordinatori per la sicurezza. È il Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC) che deve contenere le specifiche tecniche relative alla recinzione: dalla tipologia utilizzata, all’altezza, alla posizione, fino alle misure sostitutive da adottare nei casi in cui si debba temporaneamente rimuovere.

I preposti hanno il compito di vigilare sulla tenuta delle barriere e sull’efficacia dei sistemi di contenimento adottati. È fondamentale garantire la visibilità notturna, l’integrità strutturale e l’adeguata segnalazione della presenza di un’area pericolosa.

Requisiti tecnici e aspetti pratici di gestione

Non esiste un unico modello obbligatorio di recinzione: la scelta può variare in base al regolamento edilizio comunale o alle caratteristiche del cantiere. Tuttavia, la recinzione deve sempre garantire robustezza, stabilità, assenza di varchi e una chiara identificazione dell’area come spazio pericoloso.

In caso di rimozione temporanea, è necessario che siano previste misure sostitutive di pari efficacia. Può trattarsi di nastri segnaletici ben visibili, delimitazioni con new jersey, oppure la presenza continuativa di personale addetto al controllo accessi. La mancata adozione di queste misure può comportare gravi conseguenze, anche in assenza di incidenti, come ha evidenziato la sentenza della Cassazione.

Conclusioni operative per le imprese edili

La gestione della recinzione non può essere improvvisata. Va pianificata in fase di progettazione, documentata nel PSC e verificata in fase esecutiva. Le imprese devono effettuare controlli quotidiani sullo stato delle barriere, intervenendo immediatamente in caso di cedimenti, aperture o manomissioni.

Il rischio di incidenti legati all’accesso non autorizzato è elevato, e la giurisprudenza dimostra che le autorità non tollerano alcuna leggerezza in questo ambito. Proteggere l’area di cantiere significa proteggere le persone, l’azienda e la regolarità dell’opera.

Come possiamo aiutarti?