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Operativo l’Ispettorato Nazionale del Lavoro

Dal 1° gennaio 2017 è ufficialmente e pienamente operativo, con un portale internet dedicato, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (Inl), con sede centrale a Roma e 78 sedi territoriali, eredi delle odierne direzioni territoriali del lavoro e direzioni interregionali del lavoro. L’Ispettorato svolge le attività ispettive già esercitate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dall’INPS e dall’INAIL. la nuova Agenzia unica delle ispezioni e della vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale, istituita dal D.Lgs. n. 149/2015 in attuazione della legge n. 183/2014 (Jobs Act), nasce con una dote importante di risorse umane, strumentali e finanziarie, avendo all’attivo le infrastrutture dei diversi enti impegnati sinora separatamente nelle attività di vigilanza: 8.000 uomini, di cui 4.500 ispettori, distribuiti su tutto il territorio nazionale in 78 uffici provinciali e 4 interregionali. Tutte le informazioni sui servizi e i dati sull’attività svolta dall’INL sono disponibili sul nuovo sito www.ispettorato.gov.it.commissione degli illeciti.

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DPI e sicurezza: gli indumenti protettivi per ridurre gli sbalzi termici

Se il nostro organismo è un sistema basato sulla termoregolazione, in grado cioè di assorbire o cedere calore all’ambiente, a volte “le condizioni ambientali non permettono questo scambio”. E quando il corpo ha “tempo sufficiente per attuare il processo di adattamento alla variazione termica è ben tollerata la variazione di temperatura. Quando invece la temperatura varia improvvisamente il corpo potrebbe non essere in grado di ripristinare l’equilibrio in tempi rapidi, per cui la temperatura corporea non potrà essere mantenuta costante”. E questo può provocare diversi danni. Ad esempio con il caldo si nota “un aumento di sudorazione, tachicardia, un calo di attenzione e prontezza dei riflessi, con aumentata difficoltà a svolgere attività fisiche pesanti; si può osservare surriscaldamento cutaneo ma anche scottature, spossatezza, nausea, cefalea, vomito, edema, perdita di coscienza fino al collasso”. Mentre il freddo può causare “brividi, bradicardia, effetti cutanei analoghi a scottature, trombosi, iperglicemia, intorpidimento delle estremità fino a ipotermia che può arrecare assideramento fino alla morte”.

 

A ricordare l’importanza non solo della valutazione della temperatura nei luoghi di lavoro, ma dell’adozione, laddove necessario, di idonei dispositivi per la protezione del corpo, è il progetto multimediale Impresa Sicura, un progetto elaborato da Eber, Ebam, Regione Marche, Regione Emilia-Romagna e Inail che è stato validato dalla Commissione Consultiva Permanente per la salute e la sicurezza come buona prassi nella seduta del 27 novembre 2013. 

 

Nel documento “ Impresa Sicura DPI, correlato al progetto, si ricorda che la valutazione delle condizioni microclimatiche – “temperatura, umidità, velocità dell’aria e irraggiamento da superfici calde” – permette, “insieme con altri parametri quali la temperatura radiante, il vestiario, l’attività fisica del lavoratore, le macchine e gli strumenti utilizzati, nonché la valutazione della variabilità di quanto sopra in funzione della stagione, di definire le situazioni a rischio”. E si può parlare di “stress termico” quando vi è una “brusca variazione termica che fa entrare in gioco i meccanismi di termoregolazione”. Mentre in assenza di sensazioni di freddo o di caldo o di correnti d’aria si parla di “benessere termico” o “ comfort termico.

 

Il documento, che riporta anche una tabella relativa allo stress termico e alla sensazione soggettiva in relazione alla temperatura, sottolinea che negli ambienti di lavoro il microclima “deve essere il più possibile prossimo al benessere termico: lo ‘stress termico’ e quindi gli sbalzi termici devono essere il più possibile ridotti”. E in questo senso gli indumenti hanno diverse funzioni:

– “proteggere dagli eccessi della temperatura ambientale con il mantenimento della temperatura corporea, sia nei ‘confronti del caldo che del freddo’;

– isolare termicamente mantenendo la permeabilità all’acqua, al fine di garantire l’evaporazione del sudore impedendo il libero accesso dell’acqua dall’esterno;

– mantenere la permeabilità all’aria, al fine di facilitare la rimozione dell’umidità senza causare dispersione di calore con conseguente rapido abbassamento della temperatura corporea, che si traducono in comfort termoigrometrico, e quindi nella determinazione della resistenza termica, detta anche isolamento termico, e resistenza evaporativa dell’abbigliamento”.

Una tabella riporta le varie norme UNI relative all’ergonomia degli ambienti termici e all’abbigliamento. 

 

Inoltre si ricorda che sono stati definiti convenzionalmente “tre tipologie di ambienti termici, determinati tramite specifiche metodologie di valutazione basati sull’uso di indici indicativi del benessere o del disagio rispetto valori di riferimento:

Moderati, in cui le condizioni ambientali si mantengono quasi costanti nel tempo, l’attività fisica degli operatori è scarsa;

Severi caldi, caratterizzati dalla presenza d’intense fonti di calore con combinazione di alte temperature dell’aria, alte temperature radianti e alte umidità, in cui le condizioni ambientali non si mantengono costanti” e pertanto comportano “stress termico”;

Severi freddi, “in cui la temperatura è inferiore a 10°C, si mantiene costante nel tempo; gli operatori, che svolgono attività simili, indossano vestiario analogo”.

 

Rimandando ad altro articolo il tema degli indumenti protettivi in relazione al calore, ci soffermiamo brevemente oggi sulla protezione in ambienti severi freddi.

 

Ambienti di lavoro severi freddi (nel documento sono riportate ulteriori dettagli su questa tipologia di ambienti) sono ad esempio le celle frigorifere utilizzate nell’industria della carne, i depositi frigoriferi nell’industria e nella catena di trasporto da parte dell’industria fino ai negozi (ambienti severi freddi indoor). Ci sono poi gli ambienti all’aperto in cui si effettuano, ad esempio, “i lavori edili o stradali, di manutenzione delle linee elettriche, linee del gas, sistemi di telecomunicazione, l’agricoltura e i lavori forestali, l’industria della pesca”.

 

Il documento segnala che in questi ambienti “dopo la valutazione e gestione di adeguato schema di lavoro (es: tempo massimo di permanenza continuativa nell’ambiente) e l’adozione di una serie di misure che permettono di contenere al minimo i disagi legati a questo particolare ambiente di lavoro”, il principale metodo di controllo del microclima è l’abbigliamento, costituito da “tute composte da due pezzi o tute intere”.

E l’abbigliamento protettivo deve essere distinto in due classi:

DPI per la protezione dal freddo (Norma UNI 342);

DPI per la protezione da intemperie (Norma UNI 343).

 

Riguardo ai DPI per la protezione dal freddo, si indica che per proteggersi contro temperature inferiori ai –5 °C, “tipiche delle celle frigorifere ma anche dei lavori all’aperto effettuati nel periodo invernale, si utilizza l’abbigliamento di protezione in tessuto imbottito o a più strati di materiale sintetico o naturale”.

Chiaramente la capacità di proteggere dal freddo dipende dal valore dell’isolamento termico, dal valore di permeabilità all’aria – il livello d’impermeabilità dell’indumento – e alla resistenza alla penetrazione dell’acqua (“quest’ultima è opzionale”).

Il documento riporta diverse tabelle (ad esempio sulla potenza di raffreddamento del vento in condizioni di calma) e indicazioni sulle prove tecniche cui questi indumenti vengono sottoposti, sulle taglie, sulla marcatura e sulle istruzioni per gli operatori che li indossano.

 

Concludiamo questo articolo parlando dei DPI per la protezione da intemperie.

 

Il documento segnala che in presenza di nebbia, pioggia, vento e umidità del suolo, è necessario “utilizzare indumenti definiti impermeabili”:

– “quando la temperatura è superiore a –5 °C, l’abbigliamento di protezione è in materiale sintetico o in tessuto plastificato, spalmato o laminato, e presenta apertura sotto le ascelle e sulla schiena per favorire l’aerazione”;

– “quando la fodera è termica, l’abbigliamento può servire anche contro il freddo fino a temperature di –5 °C”.

 

Si ricorda, infine, che i materiali che costituiscono questi DPI devono garantire due proprietà: l’impermeabilità e la resistenza al vapore acqueo. E il progetto multimediale si sofferma ampiamente, con diverse tabelle e grafici che vi invitiamo a visionare, sulla classificazione della resistenza alla penetrazione dell’acqua e al vapore acqueo.

 

 

Fotografia Piano strategico per la sicurezza sul lavoro

Piano strategico per la sicurezza sul lavoro

Il piano strategico regionale 2016 – 2020 per la sicurezza del lavoro è una risposta organica e di lungo periodo al problema della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro.

La strategia di intervento, approvata dalla Giunta regionale con delibera n. 151/2016, prevede azioni concomitanti e sinergiche in diversi ambiti della prevenzione: informazione, assistenza, vigilanza, controllo, formazione, sostegno alle imprese per favorire l’adozione di ulteriori misure di sicurezza.

Vigilanza
La vigilanza nei luoghi di lavoro ha l’obiettivo di verificare il rispetto delle norme di igiene e sicurezza del lavoro. Deve essere programmata e orientata da piani mirati di prevenzione ed eseguita da professionalità specifiche per i singoli interventi. Inoltre il piano prevede interventi di vigilanza disposti a seguito di:

  • esposti e segnalazioni di situazioni di rischio presenti. In considerazione della delicatezza della materia possono essere prese in esame anche segnalazioni anonime, previa attenta valutazione e qualora si riferiscano a concrete esigenze di prevenzione
  • indagini delegate
  • infortuni e malattie professionali (come da protocollo siglato tra Procure della Repubblica e Aziende USL che deve essere reso completamente operativo con la piena attivazione dei flussi INAIL ed essere eventualmente aggiornato)

Nel 2016 le attività di vigilanza saranno incrementate del 3% e del 10% complessivamente nel triennio 2016-17-18

Trasparenza e misure anticorruzione
Il piano definisce le misure atte a garantire la massima trasparenza e a prevenire, per quanto possibile, episodi di corruzione. Tra queste:

  • pubblicizzazione sui siti aziendali delle scelte programmatiche e dei criteri di selezione delle azienda da ispezionare
  • assegnazione dei carichi di lavoro al singolo operatore con criteri definiti
  • verifica periodica del rispetto della programmazione e delle modalità di espletamento delle attività
  • definizione del mandato delle singole ispezioni
  • rotazione delle coppie di operatori impiegate
  • rotazione degli ambiti di intervento
  • audit e supervisione professionali legati al prodotto, eventualmente in maniera multiprofessional

Assistenza e informazione
L’assistenza e l’informazione sono parte integrante delle funzioni istituzionali dei servizi di Prevenzione, igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro e
devono essere programmate ed effettuate con la stessa attenzione e continuità riservate alla vigilanza ed al controllo. I criteri che devono essere sistematicamente seguiti per svolgere tali attività sono:

  • raccordo con associazioni di categoria
  • produzione materiale informativo
  • iniziative attive per la promozione di standard di prevenzione e buone pratiche
  • risposte a quesiti con criteri di trasparenza

Azioni regionali per la sicurezza del lavoro in specifici comparti
Sono interventi finalizzati a favorire l’adozione da parte delle imprese di misure atte a garantire ulteriori condizioni di sicurezza del lavoro rispetto a quelle minime imposte dalla norma, anche prevedendo, se necessario, un contributo economico che ne incentivi la realizzazione e creando sinergie con altri enti pubblici, imprese, banche.

Le misure previste dal piano sono:

  • installazione di chiusure laterali dei carrelli elevatori che garantiscono la trattenuta del conducente all’interno della cabina evitandogli lo schiacciamento da parte della struttura del carrello in caso di ribaltamento
  • dismissione dei trattori privi di cabina di guida, o loro modifica con inserimento della cabina, e installazione delle cinture di trattenuta in tutti i trattori che ne sono sprovvisti, anche se utilizzati da hobbisti, lavoratori autonomi o coltivatori diretti
  • realizzazione di un sistema dedicato di interventi di primo soccorso nell’ambito della realizzazione di grandi opere che, per la loro stessa natura, possono prevedere attività lavorativa in località difficilmente raggiungibili dal sistema 118 (esempio gallerie realizzate in terreni con potenziale presenza di gas esplosivi)
  • assicurazione ai lavoratori impegnati nella realizzazione di grandi opere e residenti in regioni diverse dalla Toscana di un medico di libera scelta nel territorio dove lavorano (al fine di poter usufruire di una assistenza sanitaria uguale agli altri cittadini) senza dover rinunciare al medico dal quale sono assistiti nel comune di residenza e del quale possono avere necessità nei periodi di rientro a casa
  • realizzazione di un sistema dedicato di interventi di primo soccorso nelle cavenelle miniere in quanto possono presentarsi importanti problemi di viabilità che rendono difficile portare un soccorso qualificato in tempi congrui a soggetti infortunati facendo esclusivo riferimento al servizio pubblico di pronto soccorso
  • tecnologie avanzate quali i droni per la sicurezza delle cave
  • tecnologie per la sicurezza della movimentazione del materiale lapideo
  • adozione nell’attività portuale di misure innovative preventive anche sperimentali finalizzate a ridurre l’impegno biomeccanico del rachide dei lavoratori
  • applicazione al comparto della pesca delle buone prassi Inail-Asur Marche approvate a livello nazionale e relative ai meccanismi di sollevamento della poppa nella fase della cernita del pesce
  • applicazione ai mezzi meccanici semoventi nelle lavorazioni di movimentazione merci nei porti di dispositivi anticollisione finalizzati ad evitare gli investimenti degli addetti 

Formazione
Dai dati infortunistici emerge che una buona parte di infortuni e malattie professionali è connessa con una cattiva organizzazione del lavoro e correlata a comportamenti pericolosi, o comunque non sicuri e inadeguati da parte dei lavoratori stessi. La formazione è uno degli strumenti principali di prevenzione. L’adeguata formazione degli operatori dei servizi di prevenzione nei luoghi di lavoro delle Asl è il presupposto fondamentale per garantire la qualità degli interventi effettuati. Ma spesso la formazione punta più all’acquisizione di nozioni e norme che al cambiamento dei comportamenti e all’apprendimento pratico. Si dovrà quindi promuovere una formazione maggiormente pratica, efficace, che utilizzi metodologie interattive, per far crescere la cultura delle sicurezza e le competenze professionali di tutti i soggetti che hanno un ruolo nella “filiera” della prevenzione.

Centro regionale infortuni e malattie professionali – CeRIMP
Il piano ribadisce ruolo, funzioni e obiettivi del CeRIMP, che costituisce l’osservatorio regionale per la conoscenza dello stato di salute dei lavoratori e dei fenomeni infortunistici. Il CeRIMP svolge la funzione di supporto tecnico-scientifico dell’assessorato al diritto alla salute e delle aziende territoriali, e costituisce anche il raccordo con gli altri enti che svolgono attività nell’ambito della sicurezza dei lavoratori

Progetto speciale Area vasta Centro
L’intervento ha a riferimento un contesto produttivo stratificatosi nel tempo e diversificato nei territori dell’Area vasta Centro (abbigliamento a Prato, pelletteria a Firenze, misto a Empoli, commerciale a Pistoia). L’elemento che accomuna le imprese oggetto del piano straordinario è la titolarità cinese.

Fonte: Regione Toscana

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Fibre artificiali vetrose: le nuove linee guida per la prevenzione

Le fibre artificiali vetrose sono materiali che appartengono in realtà ad un’ampia famiglia di fibre artificiali inorganiche, con caratteristiche tra loro molto diverse e che differiscono non solo in funzione dell’utilizzo finale ma anche delle modalità di produzione. Ad esempio possiamo avere fibre a filamento continuo, lane (di vetro, lana di scoria e lana di roccia), fibre ceramiche e fibre speciali (microfibre di vetro). 

 

Per tornare a parlarne possiamo fare riferimento al testo, finalmente disponibile, dell’Intesa tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano sul documento recante “Le Fibre Artificiali Vetrose (FAV): Linee guida per l’applicazione della normativa inerente ai rischi di esposizioni e le misure di prevenzione per la tutela della salute – Aggiornamento 2016”, intesa approvata nella seduta del 10 novembre 2016.

 

L’Intesa ricorda che la necessità di aggiornamento del precedente documento del 25 marzo 2015 (Conferenza Stato-Regioni, atto n.59/CSR) nasceva per eliminare le incongruenze segnalate dal Consiglio nazionale dei chimici, riallineando il testo riguardo sia al contenuto delle procedure di classificazione della pericolosità, che delle procedure di gestione delle fasi di rimozione e conferimento dei rifiuti.

 

Segnaliamo, tra i vari aspetti rilevanti che le Linee Guida confermano il ruolo della Nota Q e della Nota R del Regolamento CLP.

È infatti sufficiente la conformità ad una sola delle due Note affinché le fibre siano classificate non pericolose.

 

Le Linee Guida indicano che “l’esposizione alle FAV negli ambienti di lavoro avviene in relazione alle fasi di fabbricazione, lavorazione, installazione, rimozione, bonifica e lo smaltimento di manufatti contenenti FAV”.

 

In particolare le situazioni nelle quali si può “venire a contatto con le Fav in ambiente di lavoro possono essere le seguenti:

a) durante la fase di produzione sia della fibra che del prodotto;

b) durante l’immagazzinamento, sia in stabilimento che presso rivenditori e in cantiere;

c) durante il trasporto del prodotto;

d) durante le fasi di lavorazioni successive alla produzione;

e) durante le fasi di rifinitura del prodotto;

f) durante la rimozione, la bonifica e lo smaltimento dei manufatti in posa”.

E comunque i settori maggiormente interessati all’esposizione a FAV “sono l’edilizia (isolamento termoacustico), l’industria (isolamento impianti di processo, settore del caldo e del freddo), i trasporti (isolamento termoacustico). Il contatto può avvenire per inalazione di polvere dispersa in atmosfera o per contatto della pelle con il prodotto”.

 

Si segnala anche che in conformità a quanto previsto dal D.Lgs. 81/2008 Titolo IX “Sostanze Pericolose” “l’esposizione a lane minerali artificiali ricade nell’ambito del campo di applicazione del capo I ‘Protezione da agenti chimici’, mentre la esposizione a fibre ceramiche refrattarie, in quanto classificate cancerogene di categoria 1 B, ricade nel campo di applicazione del capo II ‘Protezione da agenti cancerogeni e mutageni’”.

 

Riguardo, invece, alla valutazione dei rischi si segnala che nel caso di “esposizione a lane minerali artificiali classificate come cancerogeno di categoria 2, il datore di lavoro sarà tenuto ad effettuare la valutazione dei rischi ai sensi dell’articolo D.Lgs. 81/08 e in esito alla stessa dovrà adottare le previste misure generali dell’articolo 224 per la prevenzione dei rischi; mentre nel caso di esposizione a fibre ceramiche refrattarie il datore di lavoro e tenuto ad effettuare la valutazione del rischio ai sensi dell’articolo 236 e in esito alla stessa a prendere in considerazione in primo luogo la possibilità della riduzione o sostituzione del materiale, se tecnicamente possibile, in secondo luogo la possibilità dell’utilizzo in un sistema chiuso e solo in ultima analisi la riduzione al minimo possibile del livello di esposizione (Art. 235)”.

 

Concludiamo ricordando che un’altra novità delle Linee Guida riguarda le modalità per l’attribuzione del codice CER ai rifiuti costituiti da fibre artificiali vetrose.

In particolare l’identificazione del corretto codice dovrà seguire i medesimi criteri contenuti nel Regolamento CLP: se la fibra è conforme alla Nota Q o R, il rifiuto avrà codice CER 17.06.04 (rifiuto non pericoloso), altrimenti avrà codice CER 17.06.03* (rifiuto pericoloso).

 

 

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Rischio chimico: incontro tra normativa di prodotto e sociale

La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori negli ambienti di lavoro è condizionata dal rispetto e dalle informazioni dettagliate che provengono, in particolare, dall’applicazione del  Regolamento (CE) N. 1907/2006 (REACH) e del Regolmaneto /CE) N.1272/2008 (CLP).

E dunque l’entrata in vigore dei Regolamenti REACH e CLP negli Stati membri dell’Unione Europea “ha avuto un’immediata ricaduta su normative specifiche di settore, quali, ad esempio, quella relativa alla protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro per gli aspetti legati all’utilizzo di sostanze e miscele pericolose e alla conseguente esposizione agli agenti chimici”.

 

A ricordarlo, soffermandosi su alcuni aspetti specifici di questa ricaduta, è un intervento al convegno “REACH  2016. TU2016, REACH e CLP. L’applicazione dei Regolamenti REACH e CLP e le novità nella gestione del rischio chimico nei luoghi di vita e di lavoro” che si è tenuto a Bologna, durante Ambiente e Lavoro, il 19 ottobre 2016.

 

In “Il significato dell’Autorizzazione e della Restrizione REACH nell’ambito del Titolo IX D.Lgs.81/08” – a cura di Celsino Govoni (Regione Emilia-Romagna, Autorità Competente REACH e CLP di Modena, Azienda USL di Modena), Mariano Alessi (Coordinamento nazionale vigilanza REACH e CLP) e Luigia Scimonelli (Coordinamento nazionale vigilanza REACH e CLP, Centro nazionale Sostanze Chimiche) – si sottolinea la ricaduta dei Regolamenti REACH e CLP sul D.Lgs. 81/2008. Ad esempio segnalando che dal 29 marzo 2016 – con riferimento al decreto legislativo 15 febbraio 2016 n.39 – in Italia i due regolamenti hanno un “impatto significativamente maggiore sugli obblighi che il datore di lavoro (DdL) possiede al fine dell’applicazione rigorosa del Titolo IX ‘Sostanze pericolose’, Capo I ‘Protezione da Agenti Chimici’ e Capo II ‘Protezione da agenti cancerogeni e mutageni’ del D.Lgs. 81/2008 (Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro).

 

Il datore di lavoro non solo si trova a dover rispondere agli obblighi previsti dal Testo Unico, ma “anche a svolgere i compiti che gli vengono attribuiti dal REACH a seconda del ruolo che svolge variamente nella catena di approvvigionamento dei prodotti chimici (produttore, importatore, fornitore, utilizzatore a valle), e a tenere conto delle novità relative agli aspetti di classificazione e di etichettatura di sostanze e miscele del CLP”. Infatti – continua la relazione – le nuove norme “possono coinvolgere il datore di lavoro con nuovi obblighi e nuovi strumenti atti alla gestione della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”.

 

Ad esempio l’articolo 34 del Regolamento Reach ha introdotto una “nuova responsabilità a carico di ogni DdL, in qualità di utilizzatore professionale di prodotti chimici”: deve “comunicare, a chi è direttamente situato a monte della filiera della fornitura di sostanze e miscele, cioè al suo fornitore, l’aggiornamento delle informazioni sulle proprietà pericolose di sua conoscenza e di ogni altra informazione presente nelle Schede di dati di sicurezza  (SDS) o nelle Schede di Dati di Sicurezza estese (eSDS) o eventualmente nelle notizie ed informazioni ottenute ai sensi dell’art.223, comma 4 D.Lgs.81/08, che potrebbero porre in dubbio la conformità della scelta corretta delle misure di gestione dei rischi in riferimento agli usi identificati e allo scenario di esposizione delle sostanze e delle miscele pericolose in raffronto alle misure di prevenzione e protezione di carattere generale e specifico realmente applicate nel proprio luogo di lavoro”.

 

E riguardo all’integrazione fra normativa di prodotto (come il Regolamento REACH e CLP) e normativa sociale(come il D.Lgs. 81/2008), si ricorda che nei luoghi di lavoro “la composizione chimica, le caratteristiche chimico-fisiche e le misure di gestione del rischio dei prodotti chimici impiegati sono ricavate principalmente dalle informazioni contenute nelle  SDS o eSDS o Schede Informative previste dagli obblighi diversificati di informazione di cui agli artt.31 e 32 del REACH”.

Inoltre riguardo alla valutazione del rischio da agenti chimici pericolosi e nella valutazione dell’esposizione ad agenti cancerogeni e mutageni, il datore di lavoro è “tenuto a determinare preliminarmente l’eventuale presenza di sostanze pericolose che sono presenti o che si formano nei processi lavorativi, considerando in particolare le loro proprietà pericolose e le informazioni sulla salute e sicurezza comunicate dal fornitore tramite la relativa SDS, ora predisposta ai sensi del Regolamento (UE) N.830/2015”.

 

L’intervento chiarisce poi, sempre in merito all’integrazione tra le due tipologie di normativa, che “generalmente tutti i recipienti utilizzati sui luoghi di lavoro e contenenti sostanze o miscele classificate come pericolose conformemente ai criteri relativi a una delle classi di pericolo fisico o di pericolo per la salute in conformità del Regolamento CLP, nonché i recipienti utilizzati per il deposito di tali sostanze o miscele pericolose e le tubazioni visibili che servono a contenere o a trasportare tali sostanze o miscele pericolose, devono essere etichettati con i pertinenti pittogrammi di pericolo sempre in conformità al Regolamento CLP”. E le deroghe “sono molto limitate e circostanziate ad impieghi di breve durata o a composizioni che variano velocemente nel tempo, ma sempre richiedenti elevata informazione e formazione integrativa”.

 

Questi due altri aspetti citati:

– per quanto riguarda l’uso degli agenti cancerogeni e mutageni (sostanze cancerogene e mutagene di categoria 1A e 1B) “vi è sempre l’obbligo immutato che anche gli impianti, oltre ai contenitori e gli imballaggi siano etichettati in maniera leggibile e comprensibile secondo il CLP, a partire dal 1° dicembre 2010 per le sostanze pericolose e a partire dal 1° giugno 2015 per le miscele direttamente classificate pericolose”;

– il datore di lavoro ha l’obbligo di riunire tutte le informazioni di cui necessita per assolvere agli obblighi che gli impone l’applicazione del D.Lgs. 81/2008 riguardo all’adozione delle “misure e dei principi generali di prevenzione e protezione del rischio chimico”, obblighi che “contemporaneamente vengono richiesti dal Regolamento REACH per documentare la disponibilità di tutte le informazioni che sono state impiegate nell’assolvimento degli obblighi conseguenti, almeno per un periodo di dieci anni dopo che sono stati utilizzati per l’ultima volta i prodotti chimici e a comunicarle alle Autorità che ne richiedessero riscontro per qualsiasi accertamento conseguente al controllo, alle inchieste e alla vigilanza”.

 

Segnaliamo, infine, il tema centrale dell’intervento – tema che approfondiremo in un prossimo articolo – relativo alla relazione fra la sostituzione delle sostanze pericolose nei luoghi di lavoro e gli obblighi di autorizzazione e restrizione secondo il REACH. 

Infatti riguardo alla protezione dei lavoratori dagli effetti di agenti chimici pericolosi, il datore di lavoro ancor prima di adottare le misure e i principi generali, sulla base dell’individuazione di un “rischio superiore alla soglia del rischio irrilevante per la salute e/o del rischio basso per la sicurezza chimica, deve provvedere affinché il rischio chimico stesso sia eliminato o ridotto mediante la sostituzione, qualora la natura dell’attività lo consenta, delle sostanze, miscele o processi pericolosi utilizzati, con rispettive alternative che, nelle condizioni di uso, risultassero non pericolose e meno pericolose per i lavoratori”.

    

Regione Emilia Romagna, Inail, Ausl Modena, “Reach. L’applicazione dei regolamenti Reach e CLP nei luoghi di vita e di lavoro“, pubblicazione che raccoglie gli atti dei due convegni “REACH  2016. TU2016, REACH e CLP. L’applicazione dei Regolamenti REACH e CLP e le novità nella gestione del rischio chimico nei luoghi di vita e di lavoro” e “REACH edilizia. L’applicazione dei Regolamenti REACH e CLP nell’ambiente da costruire e nell’ambiente costruito” (formato PDF, 27.9 MB).

 

Fonte: Punto Sicuro

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