1480413892 News rumore

Rumore: cosa fare in caso di superamento dei livelli di esposizione

Riguardo alla tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, “in base alle conoscenze attuali, non si considera a rischio l’esposizione al rumore fino a 80 decibel in misura del 100% (il doppio) per ogni tre decibel in più”.

A ricordarlo è il volume “Salute e Sicurezza nelle imprese artigiane e nelle PMI: cosa occorre sapere e cosa si deve fare”, realizzato dall’Organismo Paritetico Regionale per l’Artigianato Lombardia (OPRA Lombardia) e dai vari Organismi Paritetici Territoriali Artigiani (OPTA), una pubblicazione che nasce come strumento di consultazione per favorire una corretta applicazione delle disposizioni di legge e che al rischio rumore dedica uno specifico capitolo.

Riguardo a questo rischio nel documento si segnala che, oltre che all’apparato uditivo, “effetti nocivi del rumore possono verificarsi anche a carico:

– dell’apparato cardiocircolatorio, ad esempio ipertensione e ischemia miocardica (diminuzione del normale afflusso di sangue, che si verifica per abbassamento della pressione arteriosa);

– dell’apparato digerente, ad esempio ipercloridria gastrica (con conseguenti dolori e bruciori) e azione spastica sulla muscolatura;

– dell’apparato endocrino (aumento di ormoni di tipo corticosteroideo);

– dell’apparato neuropsichico (quadri neuropsichici a sfondo ansioso con somatizzazioni, insonnia, affaticamento, diminuzione della vigilanza e della risposta psicomotoria)”. 

 

Si ricorda poi che il riferimento normativo fondamentale in materia di prevenzione dai rischi da rumore è il decreto legislativo 81/2008 (Titolo VII, artt. da 187 a 198) che prescrive i “requisiti minimi per la protezione dei lavoratori contro i rischi per la salute e la sicurezza derivanti dall’esposizione al rumore durante il lavoro”.

 

In particolare il D.Lgs. 81/2008 fissa “tre livelli di esposizione (80, 85 e 87 decibel – dB(A) – ossia il valore medio, ponderato in funzione del tempo, dei livelli di esposizione al rumore per una giornata lavorativa e 135, 137 e 140 decibel – dB(C) – ossia il valore massimo della pressione acustica istantanea ponderata) e i corrispondenti adempimenti ai quali sono tenuti i datori di lavoro qualora vengano superati i livelli stessi”.

Inoltre stabilisce che:

– riguardo alla valutazione dei rischi, ‘il datore di lavoro valuta l’esposizione dei lavoratori al rumore durante il lavoro’ (art. 190, D.Lgs. n. 81/2008);

– ‘il datore di lavoro elimina i rischi alla fonte o li riduce al minimo’ e, in ogni caso, “a livelli non superiori ai valori limite di esposizione” (art. 192, D.Lgs. n. 81/2008).

 

Vediamo cosa prevede la normativa in relazione ai vari livelli di esposizione.

 

Se il livello di esposizione è superiore agli 80 decibel:

– “messa a disposizione dei DPI dell’udito, da parte del datore di lavoro;

– obbligo di formazione e informazione dei lavoratori in merito ai rischi provenienti dall’esposizione al rumore, alle misure adottate, ai DPI dell’udito, all’uso corretto delle attrezzature, al significato del ruolo del controllo sanitario e della valutazione del rumore”.

 

Se il livello di esposizione è superiore agli 85 decibel:

– “obbligatorietà dell’utilizzo dei DPI dell’udito;

– obbligo di formazione e informazione dei lavoratori in merito ai rischi provenienti dall’esposizione al rumore, alle misure adottate, ai DPI dell’udito, al significato del ruolo del controllo sanitario e della valutazione del rumore;

– controllo sanitario (estensibile ai lavoratori esposti ad un rumore tra gli 80 e 85 dB(A) su richiesta del lavoratore e approvazione del medico).

Detto controllo sanitario comprende:

– una visita medica preventiva, integrata da un esame della funzione uditiva per accertare l’assenza di controindicazioni al lavoro specifico ai fini della valutazione dell’idoneità dei lavoratori;

– visite mediche periodiche, integrate dall’esame della funzione uditiva, per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità. Esse devono tenere conto, oltre che dell’esposizione, anche della sensibilità acustica individuale. La prima di tali visite è effettuata non oltre un anno dopo la visita preventiva. La frequenza delle visite successive è stabilita dal medico competente”.

 

Se il livello di esposizione è superiore agli 87 decibel:

– “adozione immediata di misure atte a riportare l’esposizione al di sotto dei valori limite di esposizione (Dispositivi di Protezione e/o interventi su attrezzature, strutture o ambienti);

– individuazione delle cause dell’esposizione eccessiva;

– modifica delle misure di protezione e di prevenzione per evitare che la situazione si ripeta”.

Si segnala che i mezzi individuali di protezione dell’udito “sono considerati adeguati ai fini delle presenti norme se, correttamente usati, mantengono un livello di rischio uguale od inferiore a quello derivante da un’esposizione quotidiana personale di 87 decibel”.

Nel documento, che vi invitiamo a visionare integralmente, sono riportate anche le indicazioni relative alla predisposizione, avvalendosi del servizio di un tecnico competente in acustica, di una specifica relazione.

 

Sono poi riportate anche indicazioni relative ai dispositivi di protezione individuale (DPI).

 

Infatti laddove non si può intervenire a livello di protezione collettiva, “la tutela del lavoratore dai rischi provocati dal rumore avviene tramite dispositivi di protezione dell’udito”.

Dispositivi che devono essere usati obbligatoriamente, come abbiamo già indicato, quando “è stato rilevato un livello di esposizione quotidiana superiore a 85 decibel”.

Tra l’altro se la legislazione vigente prevede che il Datore di Lavoro metta a disposizione i DPI già al superamento degli 80 decibel, “appare quanto meno curioso che sussista un obbligo di avere le protezioni, ma non di utilizzarle”. Tuttavia nel documento si ricorda che i dispositivi di protezione individuali sono “per natura ‘appendici’ al corpo umano, e come tali limitano la sensibilità, il tatto, la tecnica lavorativa, ecc. Il loro utilizzo comporta un maggiore impiego di tempo e/o una maggiore attenzione per svolgere la mansione”. E i dispositivi di protezione dell’udito comportano, in particolare, un “limite potenzialmente molto pericoloso, ossia quello di non poter sentire un segnale di allarme o un avviso urgente”.

Ed è dunque per questo motivo che, “quando ritenuto non fondamentale, si tende a limitare l’uso di questo tipo di DPI; ed è per questo motivo che, in maniera ancora più forte che in altri campi, si tende a preferire l’utilizzo di misure di protezione collettiva, quali barriere antirumore, pannelli fonoassorbenti, ecc”.

 

In ogni caso si segnala che la scelta dei DPI viene fatta in funzione dei “seguenti parametri:

– il livello misurato del rumore;

– la sua frequenza, in quanto l’attenuazione è diversa per diverse frequenze;

– la maneggevolezza, cioè la minima alterazione possibile dell’ergonomicità”.

E ne esistono sostanzialmente di 3 tipi:

– “i tappi auricolari: attenuano fra 8 e 30 dB(A);

– le cuffie isolanti: attenuano fra 25 e 40 dB(A);

– i caschi: attenuano fra 40 e 50 dB(A)”.  

 

In ogni caso, per migliorare le condizioni di sicurezza il primo intervento da porre in atto è quello di “limitare la percezione del rumore. Le strade possibili sono due: la migliore consiste nel modificare il processo di produzione in maniera tale da ridurre in maniera definitiva il rumore prodotto (ad esempio sostituendo attrezzature obsolete con attrezzature nuove meno rumorose); la seconda consiste nella riduzione del rumore per mezzo di pannelli fonoassorbenti, pareti divisorie tra locali dove sono in uso attrezzature rumorose e altri locali, ecc”.

 

Segnaliamo che il documento, che si sofferma anche sul tema della formazione e della sorveglianza sanitaria, riporta una breve check list relativa all’esposizione al rumore.

E ricordiamo, in conclusione, che con il Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 151 – recante “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” – è stato recentemente riscritto il comma 5-bis dell’articolo 190. Modifica che ufficializza e permette l’utilizzo delle banche dati sul rumore, laddove le banche dati sono state approvate dalla Commissione Consultiva Permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro.

Fonte: Punto Sicuro

1480413882 News med

Esposizione a farmaci pericolosi: nuove raccomandazioni europee per gli operatori sanitari

Il Parlamento europeo ha promosso nuove raccomandazioni sulle politiche per prevenire l’esposizione professionale ai farmaci citotossici. Si tratta di una nuova e importante iniziativa, con l’obiettivo di proteggere gli operatori sanitari che lavorano nell’Unione europea.

I farmaci citotossici, utilizzati prevalentemente nella terapia dei tumori, sono stati classificati come pericolosi e possono causare effetti negativi sulla salute in seguito all’esposizione sul posto di lavoro. È stato riportato che la manipolazione non corretta dei farmaci citotossici può causare cancro, effetti tossici sugli organi, problemi di fertilità, alterazioni genetiche e malformazioni congenite. L’esposizione avviene solitamente attraverso il contatto con la pelle o le membrane mucose, per inalazione e per ingestione. 

L’incidenza dei tumori continua ad aumentare e, di conseguenza, aumenta anche l’uso degli agenti citotossici. Questi farmaci, inoltre, vengono usati sempre più spesso anche per trattare disturbi ematologici e reumatologici; di conseguenza, sono in aumento sia il numero, sia la tipologia di operatori sanitari che manipolano questi farmaci; le categorie a più alto rischio di esposizione sono infermieri, farmacisti e tecnici di laboratorio di farmacia.

Nonostante tale aumento del rischio sia stato riconosciuto in Europa, da organismi quali l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, e in molte nazioni ci siano già standard da rispettare, non esistono, attualmente, una legislazione, linee guide o standard minimi europei sulla manipolazione dei farmaci citotossici. Nel novembre del 2015, però, il Parlamento europeo ha convocato una Commissione per occuparsi dei fattori di rischio chimici, compresa l’esposizione ai farmaci citotossici. Il nuovo documento di raccomandazioni, Preventing occupational exposure to cytotoxic and other hazardous drugs (Prevenire l’esposizione professionale ai farmaci citotossici e ad altri farmaci pericolosi) sottolinea l’importanza dell’introduzione di una normativa adeguata e fornisce consigli sulle migliori pratiche per prevenire l’esposizione.

La formazione continua dei professionisti sanitari, insieme all’uso di un’adeguata attrezzatura per la protezione del personale e la manipolazione dei farmaci sono raccomandati e considerati fondamentali per prevenire efficacemente l’esposizione ai farmaci pericolosi. Nella Direttiva 2004/37/CE, sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro, si afferma chiaramente che “Se non è tecnicamente possibile sostituire gli agenti cancerogeni o mutageni con una sostanza, un preparato o procedimento che, nelle condizioni in cui viene utilizzato, non sia o sia meno nocivo alla salute o alla sicurezza, i datori di lavoro provvedono affinché la produzione e l’utilizzazione degli agenti cancerogeni o mutageni avvengano in un sistema chiuso, sempre che ciò sia tecnicamente possibile.”

Per esempio, nelle recenti linee guida di indirizzo tecnico della SIFO, la Società Italiana di Farmacia Ospedaliera e dei Servizi Farmaceutici delle Aziende Sanitarie, La tutela dell’operatore sanitario a rischio di esposizione ai farmaci antiblastici, si afferma chiaramente che, per il trasferimento di farmaci durante le fasi di preparazione e di somministrazione, è necessario l’utilizzo di un dispositivo di trasferimento a circuito chiuso (CSTD, dall’inglese Closed System Transfer Device) secondo la definizione del NIOSH (The National Institute for Occupational Safety and Health) e che è responsabilità della farmacia della struttura ospedaliera esaminare la documentazione tecnica e scientifica e la relativa certificazione/conformità e scegliere dispositivi che forniscano la massima garanzia di protezione del ‘sistema a circuito chiuso’. Tuttavia, anche se la maggior parte dei laboratori farmaceutici europei sta producendo farmaci citotossici in sistemi quali cappe di sicurezza biologica o isolatori, l’esposizione ai farmaci citotossici dei lavoratori resta un problema.

Il documento del Parlamento europeo sottolinea 11 raccomandazioni principali che si concentrano sui passaggi da intraprendere per garantire che una normativa europea vincolante aiuti a proteggere tutti gli operatori sanitari che manipolano farmaci citotossici ed esorta la Commissione europea a intraprendere azioni mirate.

L’impiego di Sistemi chiusi (CSTD) è raccomandato dal nuovo documento come l’unico strumento specificatamente progettato per proteggere gli operatori sanitari dall’esposizione professionale a sostanze pericolose ma avverte che alcuni produttori sostengono che i propri dispositivi sono chiusi anche quando producono gas, vapori ed emissioni acquose. Secondo la definizione della NIOSH, un CSTD è un dispositivo di trasferimento che impedisce meccanicamente il trasferimento di contaminanti ambientali nel sistema e la fuoriuscita di farmaci pericolosi e di vapori. Poiché l’inalazione di farmaci citotossici può essere dannosa, gli autori del documento auspicano che ci sia una definizione comune di dispositivo di trasferimento dei farmaci a circuito chiuso, esponendo in maniera dettagliata i requisiti tecnici da rispettare.

Sebbene non ci siano normative e linee guida comuni valide in tutta Europa, l’Instituto Nacional de Seguridad e Higiene en el Trabajo (Istituto nazionale per la sicurezza e l’igiene sul lavoro) spagnolo ha pubblicato una chiara definizione di CSTD e le specifiche tecniche che devono avere tali dispositivi in una nuova Nota Técnica de Prevención (Nota tecnica per la prevenzione) – NTP 1051. Il documento, dal titolo Exposición laboral a compuestos citostáticos:
sistemas seguros para su preparación (Esposizione professionale ai composti citotossici: sistemi per la loro preparazione), pubblicato nel 2015, ha esposto le condizioni che i dispositivi CSTD devono rispettate per la gestione dei farmaci citostatici, che comprendono: non contaminazione dell’aria e del lavoratore, asepsi, affidabilità durante l’utilizzo (comprese sicurezza ed aspetti ergonomici), capacità di svuotamento completo, universalità delle connessioni e protezione contro la contaminazione chimica. Ciò può aiutare a fornire una solida base per la messa a punto di linee guida da parte degli organismi ufficiali europei o di altre singole nazioni.

Il dottor Paul J.M. Sessink, Exposure Control Sweden AB, che ha contribuito a stilare le raccomandazioni, ha affermato che in seguito all’aumento continuo dell’impiego dei farmaci citotossici, c’è bisogno di proteggere gli operatori sanitari che li manipolano dall’esposizione e dagli eventi avversi. Ha affermato, inoltre, che la salute e il benessere degli operatori sanitari è sicuramente la preoccupazione principale ma c’è anche un altro aspetto: la prevenzione dell’esposizione contribuisce alla sostenibilità del settore sanitario europeo aumentando l’etica e prevenendo l’assenteismo del personale.

Johan Vandenbroucke, Senior Pharmacist Production presso il Ghent University Hospital, un altro degli autori delle linee guide, ha aggiunto che, nonostante i danni dell’esposizione ai farmaci citotossici siano ben noti da diversi anni, non esistono linee guida e normative in vigore in Europa. Ha, dunque, auspicato che tali raccomandazioni siano il primo passo per giungere a standard minimi vigenti in tutta l’Unione europea.

1480413900 News machedil

Macchine in edilizia: la sicurezza nell’uso degli elevatori a bandiera

Tra le attrezzature analizzate che rilevano vari rischi per gli utilizzatori ci sono anche gli elevatori a bandiera, chiamati anche paranchi o argani: apparecchi di sollevamento costituiti da un motore collegato ad un tamburo su cui si avvolge la fune, dotata di contrappeso e gancio di sollevamento. Apparecchi che sono spesso utilizzati nei cantieri di piccole ristrutturazioni per il sollevamento al piano di lavoro dei materiali e degli attrezzi.

Per affrontare il tema della prevenzione nell’uso degli elevatori a bandiera, ci soffermiamo oggi su una scheda contenuta nella seconda parte del manuale “Le macchine in edilizia. Caratteristiche e uso in sicurezza”, un documento nato dal rapporto di collaborazione tra l’ INAIL Piemonte e il CPT Torino.

 

La “Scheda 14 – Elevatore a bandiera” si sofferma su vari aspetti: dagli elementi costituenti della macchina ai dispositivi di sicurezza (finecorsa di discesa, arresto di emergenza, dispositivo di sicurezza del gancio, dispositivo di blocco della rotazione, freno del motore, protezione elettrica, …), dai dispositivi di comando e di controllo ai vari fattori di rischio (caduta di materiale dall’alto, caduta dall’alto, rischio elettrico e scivolamenti e cadute a livello).

 

Ci soffermiamo in particolare su alcuni dei principali fattori di rischio trattati.

 

Riguardo alla caduta di materiale dall’alto si indica che tale rischio può essere determinato da una serie di cause come:

– “cedimento della struttura su cui è installato l’elevatore (ad esempio ponteggio, solaio o parete);

– non corretta installazione dell’elevatore a bandiera;

– collasso della struttura dell’elevatore a bandiera per cedimento strutturale, ad esempio dovuto a carente manutenzione;

– errori di manovra durante il sollevamento di carichi;

– movimentazione di carichi non correttamente imbracati o contenuti”.

E per prevenire tale rischio “occorre verificare la struttura su cui si installa l’elevatore (ad esempio solai dell’edificio, ponteggio) rispettando le istruzioni del fabbricante, in merito alle sollecitazioni prodotte dall’elevatore. Occorre inoltre rispettare le indicazioni del fabbricante relative alle regole di installazione e uso, sui controlli, anche strutturali, e sulla manutenzione dell’elevatore specie per fune, finecorsa e freno”.

Inoltre il rischio di caduta di materiale dall’alto dovuto alla movimentazione di carichi “deve essere limitato attraverso l’uso corretto degli accessori di sollevamento, compresi i contenitori. L’urto del carico contro strutture fisse deve essere evitato sollevando materiali di dimensioni contenute ed associando un corretto uso dei segnali gestuali/verbali, per la comunicazione tra il manovratore e l’operatore a terra. Inoltre, la tavola fermapiede, di altezza non inferiore a 30 cm, facente parte del parapetto frontale dell’area in cui è installato l’elevatore, oltre a proteggere l’operatore dalla caduta è utile anche per impedire la caduta di materiale”.

Si indica poi che la zona a terra, di carico e scarico, “deve essere delimitata per impedire il transito alle persone e ai veicoli. L’operatore a terra, durante le operazioni di salita e di discesa del carico, non deve sostare entro la zona delimitata. Al passaggio del carico occorre impedire ai lavoratori lo sporgersi dai piani intermedi”.

 

E riguardo invece alla caduta dall’alto, la scheda segnala che “per impedire la caduta dall’alto del manovratore, l’area di lavoro in quota deve essere protetta da parapetti. Nella parte frontale nella quale è installato l’elevatore può essere lasciato un varco per il passaggio del carico da movimentare, applicando, per il tratto corrispondente, una tavola fermapiede di altezza non inferiore a 30 cm e sufficientemente robusta da sopportare l’eventuale spinta esercitata dall’operatore. Il varco deve essere ridotto allo stretto necessario e delimitato da robusti e rigidi sostegni laterali. Qualora non sia possibile mantenere il parapetto frontale, è necessario che il manovratore utilizzi idonei dispositivi di protezione individuale anticaduta efficacemente ancorati”.

 

Rimandando alla lettura integrale del documento per gli altri fattori di rischio, riportiamo infine – “fermo restando le indicazioni contenute nelle istruzioni d’uso di ogni macchina” – le istruzioni per l’impiego corretto dell’elevatore a bandiera:

 

Istruzioni prima dell’uso:

– “verificare la presenza dei parapetti completi sul perimetro del posto di manovra;

– verificare la presenza degli staffoni (robusti e rigidi sostegni laterali) e della tavola fermapiede da 30 cm nella parte frontale nella quale è installato l’elevatore;

– verificare l’integrità della struttura portante l’elevatore;

– con ancoraggio: verificare l’efficienza del puntone di fissaggio;

–  verificare l’efficienza della sicura del gancio e dei morsetti ferma-fune con redancia;

– verificare l’efficienza del freno del motore;

– verificare l’efficienza del finecorsa di salita;

– verificare che restino almeno due spire di fune avvolte nel tamburo a finecorsa in discesa;

– verificare l’integrità delle parti elettriche visibili;

– verificare l’efficienza dell’interruttore di linea o del quadro elettrico presso l’elevatore;

– verificare la funzionalità della pulsantiera;

– transennare a terra l’area di tiro, anche durante la fase di montaggio dell’elevatore;

– verificare l’adeguatezza del cavo di alimentazione secondo i requisiti richiesti dal fabbricante (ad esempio sezione del cavo);

– posizionare il cavo di alimentazione in modo da evitarne danneggiamenti;

– utilizzare i DPI previsti”.

 

Istruzioni durante l’uso

– “non lasciare carichi sospesi incustoditi;

– non utilizzare la fune dell’elevatore per imbracare carichi;

– non eseguire tiri in obliquo (i carichi devono essere sollevati con tiro verticale);

– accertarsi che la zona di corsa del carico sia sgombra da ostacoli;

– mantenere gli staffoni in posizione;

– usare la cintura di sicurezza in momentanea assenza degli staffoni;

– usare i contenitori adatti al materiale da sollevare;

– verificare la corretta imbracatura dei carichi e la perfetta chiusura della sicura del gancio;

– prima di sganciare il carico, accertarsi che sia appoggiato stabilmente;

–  verificare il corretto avvolgimento della fune sul tamburo;

– arrestare la salita del carico prima dell’intervento del finecorsa, utile in caso di errata manovra;

– per l’operatore a terra: non sostare sotto il carico e utilizzare l’adeguata segnaletica gestuale/ verbale per il corretto sollevamento dei carichi;

– segnalare tempestivamente eventuali malfunzionamenti o situazioni pericolose;

– utilizzare i DPI previsti”.

 

Istruzioni dopo l’uso

– “avvolgere il cavo fino in prossimità del tamburo;

– scollegare elettricamente l’elevatore;

– ritrarre l’elevatore all’interno dell’area di lavoro;

– segnalare eventuali guasti e anomalie”.

 

Fonte: Punto Sicuro

 

 

1480413909 News gps

Controlli a distanza: installazione del gps sulle vetture aziendali

Con Circolare n. 2 dello scorso 7 novembre l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito alcune indicazioni in merito alle condizioni in cui è ammessa l’installazione di impianti di localizzazione satellitare GPS sulle vetture aziendali. L’oggetto della Circolare si inserisce nella più ampia tematica dei limiti di ammissibilità dei controlli a distanza, disciplinata dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, che mira a contemperare le esigenze organizzative e produttive dell’azienda con i fondamentali diritti di riservatezza e dignità personale dei lavoratori.

Il contesto

Il primo comma del menzionato art. 4 ammette l’impiego di impianti audiovisivi e di “altri strumenti” dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori esclusivamente in presenza di esigenze:

organizzative e produttive;

di sicurezza del lavoro;

di tutela del patrimonio aziendale.

In tal caso, è inoltre necessaria la previa stipula di accordo sindacale con la r.s.u., le r.s.a., ovvero – nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione o in più regioni – con le oo.ss. comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, è comunque possibile procedere su autorizzazione della sede territoriale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro ovvero (per le imprese con unità rientranti negli ambiti di competenza di più sedi territoriali) della sede centrale dello stesso I.N.L.

Nessun accordo né autorizzazione sono invece necessari (comma 2°) con riferimento agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione (pc, tablet, cellulari, smartphone ecc.) nonché agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.

Occorre inoltre sottolineare che, qualora i lavoratori siano stati debitamente informati – nel rispetto del Codice della Privacy – circa le modalità d’uso degli strumenti in questione e l’effettuazione dei controlli, le informazioni legittimamente raccolte nell’utilizzo degli strumenti in questione possono essere utilizzate “a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro”, dunque anche in sede disciplinare.

Le conclusioni dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro

Come anticipato, l’I.N.L. ha risposto all’interrogativo se l’installazione del sistema di geolocalizzazione sulla vettura aziendale sia subordinata al rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 4, 1° comma (sussistenza delle esigenze aziendali e dell’accordo sindacale ovvero dell’autorizzazione amministrativa), oppure se, riferendosi ad uno “strumento utilizzato per rendere la prestazione”, la medesima installazione possa considerarsi esente dai limiti in questione (fermi restando, viceversa, i limiti e gli adempimenti previsti dal Codice della Privacy e dai provvedimenti emanati dall’Autorità Garante in materia).

Al riguardo, l’Ente ha osservato come, nel caso prospettato, l’unico strumento effettivamente necessario allo svolgimento della prestazione lavorativa sia rappresentato dalla vettura aziendale, mentre il sistema di geolocalizzazione costituisce solo un elemento ulteriore, “aggiunto”, non coessenziale alla prestazione stessa ma rispondente ad esigenze datoriali di tipo assicurativo, organizzativo, produttivo o di tutela della sicurezza del lavoro.

Ne consegue che nella generalità dei casi in esame l’impresa può procedere all’installazione del GPS e all’utilizzo dei dati dallo stesso forniti solo dopo aver raggiunto un accordo con le rappresentanze sindacali o, quantomeno, aver conseguito l’autorizzazione dello stesso I.N.L.

Fanno unicamente eccezione, per le medesime ragioni, le ipotesi in cui i sistemi di localizzazione siano essi stessi necessari all’attuazione della prestazione lavorativa, oppure la relativa installazione sia imposta da specifiche normative di carattere legislativo o regolamentare (es. uso dei sistemi GPS per il trasporto di portavalori superiore a euro 1.500.000,00, ecc.).

 Fonte: Il Giornale delle Pmi

 

 

1480413851 News appalti

Le difficoltà nella scelta degli strumenti per gestire le interferenze

Modena, 18 Nov – È indubbio che una delle problematiche principali riguardo alla gestione degli appalti sia rappresentata dalla difficoltà nell’identificare gli strumenti idonei alla gestione delle interferenze.

È sufficiente seguire qualche intervento sulla questione, analizzare le varie interpretazioni della norma, leggere anche qualche articolo o intervista del nostro giornale per comprendere come su questo tema, in relazione alla scelta di gestire le interferenze con il Documento unico per la valutazione dei rischi da interferenze (DUVRI) e/o il Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC), ci siano in alcuni casi opinioni leggermente diverse.

 

Dopo aver presentato un intervento sul tema di un rappresentante della Confindustria di Modena, avere ospitato un’intervista a Fabrizio Lovato (Federcoordinatori), torniamo a parlare dell’argomento riportando alcuni passaggi di due interventi al workshop “Articolo 26 e titolo IV del D.Lgs 81/08 a confronto nella gestione degli appalti” organizzato il 14 luglio 2016 a Modena, nell’ambito del progetto “A Modena la sicurezza sul lavoro, in pratica”.

 

In “ Criticità nell’identificazione degli strumenti idonei alla gestione delle interferenze in regime di appalto”, a cura di Simone Mosconi (CRIS â?ÂÂ? Università di Modena e Reggio Emilia), sono innanzitutto riportati vari riferimenti di norme recenti che hanno affrontato il tema della gestione delle interferenze.

Ad esempio il Decreto Legge n. 69 del 21 giugno 2013 “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia” che:

– “modifica l’art. 26 in particolare i commi 3 e 3 bis: Comma 3: Previsione dell’incaricato; Comma 3-bis: Esonero dall’obbligo di redazione del DUVRI o dell’individuazione dell’incaricato; – introduce l’art. 104-bis – Misure di semplificazione nei cantieri temporanei o mobili – possibilità utilizzo modelli semplificati per la redazione del piano operativo di sicurezza (POS), del piano di sicurezza e di coordinamento (PSC) e del fascicolo dell’opera (FO)”.

Viene anche ricordato il Decreto Interministeriale 9 settembre 2014 relativo ai modelli semplificati per la redazione del piano operativo di sicurezza (POS), del piano di sicurezza e di coordinamento (PSC) e del fascicolo dell’opera (FO) nonché del piano di sicurezza sostitutivo (PSS). 

 

Si indica poi che il concetto di interferenza è trattato nella Determinazione n. 3 del 5 marzo 2008 Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture “Disposizioni Sicurezza nell’esecuzione degli appalti relativi a servizi e forniture. Predisposizione del documento unico di valutazione dei rischi (DUVRI) e determinazione dei costi della sicurezza”. Ed è ricordata la funzione di alcuni documenti:

DUVRI: “è il documento elaborato dal Datore di Lavoro Committente (DLC) o da un suo ‘delegato’ ogniqualvolta egli intenda affidare lavori, servizi o forniture ad un’impresa appaltatrice e/o a lavoratori autonomi, da svolgersi all’interno della propria organizzazione”;

PSC: “è il documento elaborato dal Coordinatore per la Progettazione dell’Opera (CSP) o, nei casi espressamente previsti dalla legge, dal Coordinatore per l’Esecuzione dei Lavori (CSE) per conto del Committente o del Responsabile dei Lavori nei cantieri in cui è prevista la presenza, anche non contemporanea, di più imprese edili”;

POS: è “il documento redatto da ciascun Datore di Lavoro delle imprese affidatarie/esecutrici, relativamente al proprio cantiere, con cui si adempie alle disposizioni di cui all’articolo 17 comma 1, lettera a), all’articolo 26, commi 1, lettera b), 2, 3, e 5, e all’articolo 29, comma 3 del d.lgs. 81/2008”. 

 

Si riportano poi, nelle slide, ampi stralci del diagramma di flusso relativo al “Progetto a sostegno delle aziende nell’applicazione della normativa di sicurezza” realizzato nell’ambito del progetto “A Modena la sicurezza sul lavoro, in pratica”.

Si indica in conclusione che il DUVRI “deve essere elaborato, nei casi previsti, in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture ad un’impresa esterna, o dei lavoratori autonomi, all’interno della propria azienda. Il DUVRI è quindi necessario anche per quei cantieri, non soggetti all’obbligo di designazione del CSP e quindi alla relativa stesura del PSC. In tali casi il Datore di Lavoro Committente corrisponde al Committente e come tale deve fornire all’impresa appaltatrice e ai lavoratori autonomi dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui essi sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione di emergenza adottate in relazione alla propria attività”.    

 

Riportiamo infine alcune indicazioni tratte dall’intervento “Il punto di vista dell’organo di vigilanza. Efficacia nell’identificazione degli strumenti nell’ambito dell’art. 26 e del titolo IV: equivalenza o contrasto?”, a cura di Leo Di Federico (AUSL Modena).

 

L’intervento, che si sofferma sui rischi generati verso l’esterno, sui rischi che possono arrivare dall’esterno, sui capitoli del PSC e del DUVRI, indica che bisogna sempre ricordarsi che, nell’applicazione della normativa, l’obiettivo deve essere la sicurezza.

E riguardo alla scelta se elaborare DUVRI, PSC e POS, riporta alcuni tabelle (con tipologia di committenza, natura dei lavori, numero imprese, documenti da elaborare):

 

L’intervento riporta anche un esempio:

scenario: “cantiere edile all’interno di un edificio adibito a parcheggio automezzi (autosilo);

attori: Committente (proprietario del parcheggio); CSP/CSE; Datore di lavoro dell’Impresa Affidataria (A); Datore di lavoro Impresa esecutrice (B) fornitura e posa impianti meccanici;

evento: un sollevatore telescopico dell’impresa esecutrice (B), che movimenta unità trattamento aria dall’esterno dell’edificio all’interno del cantiere, procede attraverso le corsie interne della struttura e, lungo il percorso, sprofonda nel vuoto a causa del cedimento di un solaio conseguente all’eccessivo carico rispetto alla portata di quest’ultimo. L’evento è avvenuto fuori dall’area di cantiere, ma all’interno del parcheggio”.

In questo caso “chi era tenuto a informare l’impresa esecutrice (B)”?

A questo proposito il relatore ricorda che il Coordinatore per la Progettazione, per l’art. 91, “ha obbligo di redigere il PSC, i cui contenuti sono specificati all’interno dell’Allegato XV; tra questi sono compresi l’analisi della viabilità principale di cantiere (2.2.2.c) e delle modalità di accesso dei mezzi di fornitura dei materiali (2.2.2.h); nel caso specifico il Coordinatore avrebbe quindi dovuto individuare, analizzare e valutare il percorso del mezzo anche in merito alla portata del solaio (richiedendo eventualmente le informazioni necessarie al Committente)”.

E l’impresa esecutrice B, mediante il suo POS, “avrebbe dovuto informare l’impresa affidataria e il CSE in merito all’attrezzatura speciale che avrebbe avuto accesso in cantiere, comprendendo le informazioni sul suo peso”. 

 

L’intervento riporta infine una dettagliata tabella relativa agli esiti della vigilanza, alcune tipologie di violazioni e alla domanda se c’è equivalenza o contrasto fra art. 26 e Titolo IV del Testo Unico risponde che:

– non c’è equivalenza: DUVRI “relativo ai soli rischi interferenti; PSC è un progetto complessivo della sicurezza del cantiere; le figure obbligate sono diverse”;

– non c’è contrasto: “i risultati sono equiparabili”.    

 

 

“Criticità nell’identificazione degli strumenti idonei alla gestione delle interferenze in regime di appalto”, a cura di Simone Mosconi (CRIS â?ÂÂ? Università di Modena e Reggio Emilia), intervento al workshop “Articolo 26 e titolo IV del D.Lgs 81/08 a confronto nella gestione degli appalti”, realizzato nell’ambito del progetto “A Modena la sicurezza sul lavoro, in pratica”.

 

“Il punto di vista dell’organo di vigilanza. Efficacia nell’identificazione degli strumenti nell’ambito dell’art. 26 e del titolo IV: equivalenza o contrasto?”, a cura di Leo Di Federico (AUSL Modena), intervento al workshop “Articolo 26 e titolo IV del D.Lgs 81/08 a confronto nella gestione degli appalti”, realizzato nell’ambito del progetto “A Modena la sicurezza sul lavoro, in pratica”.

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