Calcolo del rischio: la formula per la sicurezza

Calcolo del rischio: la formula per la sicurezza

Il calcolo del rischio costituisce il fondamento metodologico su cui si erge l’intero impianto della sicurezza aziendale, come stabilito dal Dlgs 81/2008. L’articolo 28 del Testo Unico impone al datore di lavoro l’obbligo indelegabile di valutare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, al fine di individuare le adeguate misure di prevenzione e protezione.

Non si tratta di una stima astratta, ma di un processo analitico che deve portare alla redazione del documento di valutazione dei rischi (DVR), uno strumento dinamico che deve fotografare la realtà aziendale ed evolversi con essa. L’obiettivo normativo non è l’eliminazione totale del pericolo, spesso impossibile in determinati contesti produttivi, ma la sua riduzione a un livello accettabile. Questo processo logico risponde ai principi generali di tutela di cui all’articolo 15, che richiedono la valutazione di tutti i rischi che non possono essere evitati alla fonte, programmando la prevenzione e privilegiando le misure di protezione collettiva rispetto a quelle individuali.

Metodologia per il calcolo del rischio e matrice R=P x D

Per tradurre l’analisi teorica in dati operativi, la tecnica più diffusa e consolidata si basa sull’algoritmo matematico che definisce il rischio (R) come il prodotto tra la probabilità (P) di accadimento di un evento dannoso e la magnitudo del danno (D) che ne può derivare.

La probabilità viene stimata su una scala graduata che considera la frequenza dell’esposizione, le condizioni ambientali e la presenza di fattori scatenanti, variando solitamente da “improbabile” a “altamente probabile”. Parallelamente, il danno viene classificato in base alla gravità delle conseguenze potenziali per il lavoratore, spaziando da infortuni lievi curabili in pochi giorni fino a eventi mortali o invalidanti.

L’incrocio di questi due valori all’interno di una apposita matrice di ponderazione permette di ottenere un valore numerico o cromatico che quantifica il livello di rischio. Questa metodologia consente di gerarchizzare le criticità aziendali, distinguendo tra rischi trascurabili, che richiedono un semplice monitoraggio, e rischi intollerabili, che impongono interventi correttivi immediati e sostanziali per poter proseguire l’attività lavorativa.

Gestione del rischio residuo e misure di prevenzione

L’applicazione pratica di questa formula guida il datore di lavoro nella definizione del piano di miglioramento e nella gestione operativa della sicurezza. Una volta identificato il livello di rischio iniziale, l’azienda deve intervenire per abbatterlo agendo sui due fattori dell’equazione: riducendo la probabilità di accadimento attraverso misure di prevenzione (formazione, procedure operative, manutenzione preventiva) o limitando l’entità del danno tramite misure di protezione (barriere fisiche, dispositivi di protezione individuale). Il risultato di questa operazione è il cosiddetto “rischio residuo”, ovvero quella quota di rischio che permane nonostante l’adozione delle misure di sicurezza. La normativa impone che tale residuo sia mantenuto entro soglie di accettabilità e costantemente monitorato nel tempo.

Questo approccio dinamico trasforma la sicurezza da onere burocratico a strategia gestionale: investire nella riduzione delle probabilità e del danno significa non solo evitare sanzioni penali e amministrative, ma garantire la continuità operativa dell’impresa e promuovere un ambiente di lavoro in cui la tutela della salute è integrata nei processi produttivi.

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