In tema di sicurezza sul lavoro,
è l’azienda che deve porre in atto ogni misura finalizzata a proteggere
fisicamente e moralmente il lavoratore – diversamente, rischia di
incorrere nei reati penali di lesione e omicidio colposo mentre tocca all’INAIL erogare un indennizzo al lavoratore in caso di malattia professionale. Vediamo i dettami normativi.
Il datore di lavoro può essere ritenuto responsabile di lesioni o
omicidio se non adegua gli strumenti di protezione dei lavoratori agli
standard. L’art. 590 c.p., “Lesioni personali colpose”, focalizza sulle lesioni gravi
e, al quinto comma, riporta gli obblighi per la prevenzione infortuni e
malattie professionali, oltre che in materia di igiene. L’art. 589 c.p.
riguarda invece l’omicidio colposo a seguito di
violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro
(pena da 6 mesi e 5 anni): in caso di morte di va da 2 a 7 anni di reclusione.
Le malattie professionali
sussistono se il lavoro svolto è causa diretta e determinante della
patologia e se questa si manifesta all’interno di determinati limiti
temporali. Il DPR 1124/1965 ha introdotto un elenco delle patologie
professionali e delle lavorazioni che ne possono essere causa in un
determinato periodo, a partire dalla cessazione dell’attività lavorativa.
Ma come comportarsi quando la malattia non è annoverata nel sistema tabellare? La Corte Costituzionale, con sentenza n. 179 del 18 febbraio 1988, consente al lavoratore di dimostrare che una malattia non presente
nell’elenco possa essere riconducibile alla propria attività
lavorativa: serve però un nesso causale concreto, con onere della prova a
carico del lavoratore, mentre è a carico dell’INAIL quando è previsto
un collegamento in tabella.
La Corte di Cassazione ha confermato in passato tale necessità di nesso causale concreto, tra lavoro espletato e presunta malattia professionale, la cui dimostrazione è carico del lavoratore: la Corte (sezione lavoro, sentenza n. 9778/2013) ha infatti rigettato la richiesta di risarcimento
per malattia professionale denunciata da un lavoratore, perché non era
possibile collegare eziologicamente la patologia lamentata con il lavoro
svolto.
Il lavoratore che voglia vedere accolta la propria istanza di malattia
professionale (e relativa rendita) deve addurre prove utili a
dimostrare come il nesso eziologico tra causa (lavoro) ed effetto
(patologia) sia evidente. Le prove, elencate in maniera analitica,
devono essere supportate da una puntuale analisi sulle mansioni svolte
sul posto di lavoro tale da confermare le proprie tesi, e se possibile
da testimonianze a suffragio ulteriore di quanto sostenuto.
Fonte: Pmi.it