La qualità dell’aria indoor (IAQ) negli ambienti di lavoro, in particolare negli uffici, costituisce un fattore determinante per la salute e il benessere dei lavoratori. Il quadro normativo italiano, con il Dlgs 81/2008, impone al datore di lavoro l’obbligo di valutare tutti i rischi, inclusi quelli legati alle condizioni microclimatiche e alla salubrità dell’aria.
L’allegato IV del testo unico stabilisce infatti requisiti precisi per i luoghi di lavoro, imponendo che i lavoratori dispongano di “aria salubre in quantità sufficiente”. Tuttavia, negli ambienti chiusi e ad alta densità di occupazione, la qualità dell’aria può essere compromessa da una moltitudine di fattori: un’insufficiente ventilazione, l’inadeguata manutenzione degli impianti di climatizzazione (HVAC), l’affollamento che causa un aumento della concentrazione di anidride carbonica (CO2) e l’emissione di composti organici volatili (VOC) rilasciati da arredi, materiali edili, apparecchiature elettroniche come stampanti e prodotti per la pulizia. Questi elementi, singolarmente o in combinazione, possono generare rischi chimici e biologici, rendendo necessaria una valutazione del rischio specifica e non meramente presuntiva.
Le strategie di monitoraggio per la qualità dell’aria indoor
Per rispondere efficacemente agli obblighi normativi e garantire un ambiente salubre, non sono sufficienti misurazioni sporadiche o una tantum. È necessario implementare vere e proprie strategie di monitoraggio della qualità dell’aria, basate su un approccio sistematico e continuativo. Una strategia efficace parte dall’identificazione dei parametri chiave da monitorare in base alle caratteristiche dell’edificio e alle attività svolte. Tra gli indicatori principali figurano la CO2, utilizzata come tracciante del livello di affollamento e dell’adeguatezza della ventilazione; i VOC, per rilevare la presenza di inquinanti chimici; le polveri sottili (PM2.5 e PM10), che possono provenire sia dall’esterno sia da fonti interne; e i parametri microclimatici come temperatura e umidità relativa, che influenzano il comfort ma anche la possibile proliferazione di agenti biologici come muffe e batteri. L’adozione di moderni sistemi di sensoristica, anche connessi (IoT), permette di raccogliere dati in tempo reale, identificare i picchi di inquinamento, correlarli alle attività lavorative e valutare oggettivamente l’efficienza dei sistemi di ventilazione e filtrazione.
Dalla misurazione alla prevenzione: impatti aziendali
L’implementazione di un piano di monitoraggio strutturato ha implicazioni pratiche immediate. I dati raccolti forniscono al servizio di prevenzione e protezione (Rspp) e al medico competente gli elementi oggettivi necessari per un aggiornamento puntuale del documento di valutazione dei rischi (Dvr).
Si passa così da una valutazione del rischio basata su ipotesi a una gestione basata sull’evidenza. I vantaggi per l’azienda sono molteplici: in primo luogo, si garantisce la piena conformità legislativa, riducendo il rischio di sanzioni e migliorando la tutela legale dell’organizzazione. In secondo luogo, l’analisi dei dati consente di attuare interventi correttivi mirati, come l’ottimizzazione dei cicli di ventilazione degli impianti HVAC (spesso con conseguenti risparmi energetici), la sostituzione di prodotti di pulizia o materiali d’arredo inquinanti, o una migliore pianificazione dell’occupazione degli spazi. Per i lavoratori, i benefici si traducono in una drastica riduzione dei sintomi correlati alla “sindrome dell’edificio malato” (Sick Building Syndrome), come mal di testa, irritazioni e affaticamento, con un conseguente aumento del benessere, della concentrazione e della produttività complessiva.


