La responsabilità penale derivante dagli infortuni sul lavoro si fonda sul principio della posizione di garanzia, che non investe esclusivamente la figura del datore di lavoro, ma si estende a tutti i soggetti che, all’interno dell’organizzazione aziendale o esternamente ad essa, contribuiscono alla definizione dei livelli di sicurezza. Il quadro normativo delineato dal Dlgs 81/2008 stabilisce una rete di obblighi condivisi, in cui ciascun attore deve adempiere ai propri doveri di diligenza e perizia.
In particolare, l’istituto della delega di funzioni (articolo 16) trasferisce poteri e doveri specifici a un soggetto delegato, il quale subentra a pieno titolo negli obblighi prevenzionistici, inclusa la gestione tecnica degli impianti. Parallelamente, l’articolo 22 del medesimo decreto individua precisi obblighi in capo ai progettisti, vietando la progettazione di macchinari o impianti non conformi ai requisiti essenziali di sicurezza. La giurisprudenza di legittimità torna frequentemente a ribadire che la pluralità di figure garanti non genera un’esclusione di colpa, bensì un concorso di responsabilità qualora più condotte negligenti convergano nel causare l’evento lesivo.
Analisi della responsabilità penale concorrente
Il nodo centrale affrontato dai giudici riguarda l’interazione tra la responsabilità penale del delegato alla sicurezza e quella del progettista esterno, specialmente in presenza di vizi costruttivi o difetti “occulti” di un macchinario. Secondo l’orientamento consolidato, la condotta colposa del progettista, che realizza un’attrezzatura priva dei necessari requisiti di protezione (ad esempio, l’assenza di carter o fotocellule di arresto), non interrompe il nesso causale rispetto alle omissioni del delegato aziendale.
Quest’ultimo, infatti, in virtù dei poteri di spesa e di gestione conferiti dalla delega, ha l’obbligo giuridico di vigilare sulla conformità dei mezzi messi a disposizione dei lavoratori. Non è sufficiente affidarsi formalmente alla certificazione del fornitore o del tecnico esterno; il delegato è tenuto a verificare, anche tramite consulenti terzi se necessario, che le macchine non presentino rischi palesi o prevedibili. Si configura pertanto una “cooperazione colposa” nel delitto: l’errore tecnico del progettista si somma all’inerzia gestionale del delegato, creando le condizioni per l’infortunio.
Obblighi di verifica tecnica e gestione del rischio
Le implicazioni operative di questo principio sono rilevanti per la governance della sicurezza aziendale. Le imprese non possono considerare la marcatura CE o la dichiarazione di conformità del progettista come uno scudo legale assoluto in caso di incidente.
È necessario implementare procedure di collaudo e verifica periodica che vadano oltre il controllo formale, entrando nel merito della sicurezza funzionale degli impianti. Il progettista risponde per aver introdotto nel ciclo produttivo un rischio “intrinseco”, ma il soggetto delegato risponde per aver permesso che quel rischio si concretizzasse in danno del lavoratore, non avendo attivato i poteri correttivi in suo possesso. Questo impone una maggiore integrazione tra ufficio tecnico, servizio di prevenzione e protezione e gestione acquisti. In sede di appalto o fornitura, la validazione dei progetti e delle attrezzature deve essere rigorosa: il delegato deve agire con la consapevolezza che la sua posizione di garanzia richiede un controllo attivo e costante sull’ambiente di lavoro, non potendo delegare a terzi la propria responsabilità di vigilanza sull’effettiva sicurezza delle tecnologie adottate.


