L’analisi dei dati infortunistici evidenzia una persistente e preoccupante disparità di sicurezza tra lavoratori nativi e lavoratori immigrati. Questi ultimi risultano strutturalmente più vulnerabili, registrando tassi di incidenza per infortuni e malattie professionali superiori alla media. Il fenomeno non è casuale ma radicato in una segmentazione del mercato del lavoro che vede la manodopera straniera concentrata prevalentemente nei settori a più alto indice di rischio, come l’edilizia, l’agricoltura e l’industria pesante. Spesso, questi lavoratori sono adibiti alle mansioni manuali più gravose e pericolose (i cosiddetti “lavori 3D”: dirty, dangerous, demeaning), esponendosi a rischi fisici e chimici maggiori rispetto ai colleghi italiani.
Barriere linguistiche e inefficacia della formazione
Oltre alla tipologia di mansione, le cause di questa maggiore esposizione vanno ricercate nelle barriere linguistiche e culturali che ostacolano drasticamente l’efficacia della formazione obbligatoria. Spesso i corsi sulla sicurezza vengono erogati con un linguaggio tecnico burocratico o modalità standardizzate che non garantiscono la reale comprensione da parte di chi non padroneggia la lingua italiana. La mancata comprensione delle procedure operative, della segnaletica e dei rischi specifici, unita talvolta a una condizione di precarietà contrattuale che disincentiva la segnalazione dei pericoli per timore di ripercussioni lavorative, crea un mix letale che amplifica la probabilità di errore e di incidente grave.
Verso una sicurezza inclusiva e integrata
Per invertire il trend, è necessario che le aziende adottino un approccio di sicurezza inclusiva. Le strategie di prevenzione devono evolversi integrando la mediazione culturale e utilizzando strumenti comunicativi immediati (video, immagini, segnaletica multilingue, addestramento pratico sul campo) che superino l’ostacolo verbale. È fondamentale che la Valutazione dei Rischi (DVR) tenga conto specificamente delle differenze di provenienza e comprensione linguistica (come richiesto dall’art. 28 del DLgs 81/08), implementando misure organizzative che garantiscano a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla nazionalità, lo stesso livello effettivo di consapevolezza e tutela.


