Sicurezza dell’acqua: responsabilità del datore secondo il DLgs 18/2023

Sicurezza dell’acqua: responsabilità del datore secondo il DLgs 18/2023

Il Decreto Legislativo 23 febbraio 2023, n. 18 ha ridefinito in profondità le regole italiane sulla qualità delle acque destinate al consumo umano. Con l’entrata in vigore il 21 marzo 2023, l’Italia ha recepito la Direttiva UE 2020/2184, abrogando il precedente DLgs 31/2001. Tra le novità più rilevanti vi è l’estensione della responsabilità sulla sicurezza dell’acqua potabile anche ai soggetti che gestiscono edifici, uffici e luoghi di lavoro, compresi i datori di lavoro, che diventano attori centrali nel garantire la salubrità dell’acqua utilizzata.

Secondo l’articolo 2 del decreto, per “acqua destinata al consumo umano” si intende quella utilizzata per bere, preparare cibi o per altri usi domestici, indipendentemente dalla fonte o dal metodo di distribuzione. Questo significa che anche le acque fornite tramite impianti interni aziendali o distribuite in contenitori rientrano pienamente nel campo di applicazione della norma.

Il piano di sicurezza dell’acqua: un obbligo per ogni contesto lavorativo

Una delle innovazioni normative principali è l’introduzione del Piano di Sicurezza dell’Acqua (PSA), uno strumento preventivo che il datore di lavoro deve adottare per identificare, valutare e gestire i potenziali rischi lungo tutta la filiera idrica interna alla propria sede. Non è più sufficiente affidarsi al servizio idrico esterno: ogni impianto di distribuzione interno deve essere considerato un punto critico da presidiare.

Il PSA, obbligatorio in tutti i contesti aziendali in cui l’acqua è resa disponibile ai lavoratori o a terzi, include la valutazione dei rischi legati a contaminazioni, il monitoraggio dei punti di erogazione e l’adozione di misure tecniche, gestionali o strutturali per prevenire ogni rischio sanitario.

Nuovi parametri di qualità e controlli analitici obbligatori

Il decreto ha introdotto limiti più severi su numerosi parametri microbiologici e chimici, alcuni dei quali aggiornati per la prima volta dopo oltre vent’anni. I datori di lavoro sono tenuti ad assicurare il rispetto di questi parametri, che comprendono sostanze come i PFAS, i trialometani, il piombo, il rame e altri contaminanti emergenti, potenzialmente presenti nei materiali delle tubazioni o nelle acque stagnanti.

La normativa richiede inoltre l’elaborazione annuale di un piano di campionamento e analisi dell’acqua, da svolgersi tramite laboratori accreditati. Le analisi devono essere documentate, conservate e, in caso di superamento dei limiti, seguite da interventi correttivi immediati. La mancata esecuzione dei controlli analitici o l’inerzia in caso di non conformità può comportare sanzioni amministrative significative.

Obblighi di informazione, trasparenza e gestione del rischio

Il datore di lavoro ha l’obbligo di informare i lavoratori in merito alla qualità dell’acqua messa a disposizione. In caso di rischio per la salute, è necessario comunicare con tempestività eventuali problemi riscontrati, le cause e le azioni messe in atto per rimediare. Il principio di trasparenza è rafforzato dal dovere di documentare tutte le attività di prevenzione e monitoraggio, comprese le manutenzioni sugli impianti interni.

Oltre al rischio di contaminazione microbiologica, le valutazioni devono considerare anche il rischio di legionella, la stagnazione idrica nei condotti e la compatibilità dei materiali utilizzati negli impianti. È fondamentale, pertanto, che i datori di lavoro prevedano controlli periodici non solo sull’acqua in uscita, ma anche sulle condizioni strutturali delle reti di distribuzione interne.

Le conseguenze per chi non adempie: sanzioni e responsabilità

Il decreto non lascia spazio a interpretazioni: in caso di inadempimento agli obblighi, il datore di lavoro può incorrere in sanzioni pecuniarie che vanno da un minimo di 4.000 euro fino a un massimo di 24.000 euro. Le autorità sanitarie locali (ASL) hanno il potere di effettuare controlli, ispezioni e verifiche documentali presso le sedi aziendali, imponendo prescrizioni correttive quando necessario.

Tale regime sanzionatorio rafforza l’importanza del ruolo del datore di lavoro nella protezione della salute pubblica. Non si tratta di meri adempimenti burocratici, ma di misure strutturali fondamentali per la prevenzione di rischi sanitari, soprattutto in ambienti dove i lavoratori trascorrono buona parte della giornata e utilizzano regolarmente l’acqua per scopi diretti o indiretti.

Un cambio di prospettiva nella gestione aziendale dell’acqua

Il DLgs 18/2023 segna un passaggio culturale nella gestione dell’acqua nei luoghi di lavoro. L’acqua potabile non è più solo una risorsa fornita da terzi, ma una componente della sicurezza aziendale a pieno titolo, su cui il datore di lavoro ha il dovere di vigilare. Questo implica una nuova responsabilità gestionale, che si affianca agli obblighi previsti in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Le aziende devono ora includere la gestione del rischio idrico nei propri sistemi di prevenzione, prevedendo competenze tecniche dedicate, controlli continui e una strategia di comunicazione interna trasparente.

Come possiamo aiutarti?