Sicurezza nei negozi: gestione rischi e centri commerciali

Sicurezza nei negozi: gestione rischi e centri commerciali

La sicurezza nei negozi e nelle attività commerciali situate all’interno della grande distribuzione organizzata rappresenta un ambito che richiede un’attenzione specifica, spesso erroneamente considerata a basso rischio rispetto ai settori industriali. Il Dlgs 81/2008 impone al datore di lavoro la valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori, senza distinzioni basate sulla tipologia merceologica. In questi contesti, caratterizzati da un’elevata affluenza di pubblico e da ritmi spesso frenetici, si intrecciano fattori di rischio eterogenei che vanno dalla movimentazione manuale dei carichi allo stress lavoro-correlato. 

L’ambiente di lavoro, spesso condiviso con la clientela, impone l’adozione di misure di prevenzione che garantiscano non solo l’incolumità degli addetti alle vendite e al magazzino, ma anche la gestione delle emergenze in spazi complessi come le gallerie commerciali, dove le vie di fuga e le procedure di evacuazione devono essere perfettamente coordinate.

Analisi tecnica della sicurezza nei negozi e movimentazione

Entrando nel merito delle criticità operative, una delle problematiche principali riguarda la movimentazione manuale dei carichi, disciplinata dal Titolo VI del Decreto Legislativo. Gli addetti vendita sono frequentemente chiamati a spostare imballaggi, rifornire scaffali o gestire la merce in magazzini spesso angusti e privi di ausili meccanici adeguati. Il sollevamento ripetuto di pesi, anche se di entità modesta, unito a posture incongrue e movimenti ripetitivi (tipici delle postazioni di cassa), espone i lavoratori a patologie muscolo-scheletriche da sovraccarico biomeccanico.

A ciò si aggiungono i rischi psicosociali legati al contatto diretto e continuo con il pubblico, che possono sfociare in stress, burnout o episodi di aggressione verbale e fisica. Non vanno trascurati i fattori ambientali e di sicurezza fisica: l’illuminazione artificiale prolungata, il microclima condizionato, il rischio rapina negli orari di chiusura e il pericolo di scivolamento e caduta in piano su pavimenti lavati di frequente costituiscono ulteriori elementi che devono essere analizzati puntualmente nel documento di valutazione dei rischi (DVR).

Misure organizzative e prevenzione per il commercio

Le implicazioni pratiche per garantire la tutela richiedono l’adozione di misure organizzative, tecniche e procedurali mirate. Per mitigare il rischio da sovraccarico fisico, è fondamentale dotare i punti vendita di attrezzature di ausilio come transpallet, carrelli manuali o scale a norma per l’accesso sicuro ai ripiani alti, fornendo contestualmente un addestramento pratico sul loro utilizzo.

La formazione specifica, ai sensi dell’articolo 37 del Dlgs 81/2008, deve includere moduli dedicati non solo alla sicurezza generale, ma anche alla corretta gestualità e alla gestione dei conflitti con la clientela per prevenire lo stress. Dal punto di vista organizzativo, implementare la rotazione delle mansioni (job rotation) tra cassa, allestimento e magazzino permette di variare il tipo di sollecitazione fisica e mentale, riducendo l’usura psicofisica del lavoratore. Infine, la gestione delle emergenze deve essere integrata con il piano generale del centro commerciale, assicurando che le uscite di sicurezza e i percorsi di esodo siano mantenuti sempre sgombri da scatoloni o merce esposta, garantendo una via di fuga rapida ed efficace in ogni condizione.

Sicurezza lavori usuranti: prevenzione e obblighi

Sicurezza lavori usuranti: prevenzione e obblighi

La gestione della sicurezza per i lavori usuranti costituisce una sfida prioritaria per le aziende, in considerazione del progressivo invecchiamento della forza lavoro e delle specifiche tutele richieste dal quadro normativo vigente. Il Dlgs 81/2008, impone all’articolo 28 l’obbligo di valutare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, prestando particolare attenzione a quelli collegati all’età, al genere e alla provenienza da altri paesi.

Sebbene la definizione giuridica di “lavoro usurante” trovi la sua genesi principale nel Dlgs 67/2011 ai fini previdenziali (accesso anticipato alla pensione), le ricadute prevenzionistiche sono immediate. Attività caratterizzate da particolare gravosità fisica, turni notturni strutturali o ripetitività ad alta frequenza (catena di montaggio) accelerano i processi di logoramento psicofisico. Il datore di lavoro deve quindi adottare un approccio ergonomico e organizzativo che mitighi l’impatto di queste mansioni, prevenendo l’insorgenza di malattie professionali muscolo-scheletriche o da stress lavoro-correlato.

Analisi dei lavori usuranti e fattori di rischio

Per una corretta analisi tecnica dei lavori usuranti, è necessario identificare i fattori che determinano l’usura psicofisica. Le categorie principali includono le lavorazioni svolte in spazi ristretti o confinati, l’esecuzione di compiti che richiedono un impegno fisico intenso e continuativo, la conduzione di mezzi pesanti per il trasporto pubblico e le lavorazioni a catena che vincolano il lavoratore a ritmi produttivi imposti dalle macchine. Un fattore critico trasversale è il lavoro notturno, organizzato in turni che comprendano almeno 6 ore nella fascia tra la mezzanotte e le cinque del mattino, o che coprano l’intero anno lavorativo per un numero minimo di giornate. 

L’alterazione dei ritmi circadiani, unita al carico biomeccanico, espone l’organismo a un deterioramento precoce. La valutazione dei rischi deve pertanto misurare oggettivamente il carico posturale, la frequenza dei movimenti e i tempi di recupero, utilizzando standard internazionali come le norme ISO 11228 per la movimentazione manuale dei carichi o la check-list Ocra per i movimenti ripetitivi, al fine di quantificare l’esposizione reale.

Sorveglianza sanitaria e organizzazione del lavoro

Le implicazioni pratiche per la tutela dei lavoratori impiegati in mansioni logoranti richiedono un potenziamento della sorveglianza sanitaria e una revisione dei modelli organizzativi. Il medico competente assume un ruolo centrale: il protocollo sanitario non può essere standard, ma deve prevedere accertamenti mirati a verificare la funzionalità degli organi bersaglio (apparato muscolo-scheletrico, cardiovascolare, ciclo sonno-veglia) con una periodicità ravvicinata, specialmente per i lavoratori “over 50”. Dal punto di vista gestionale, l’azienda deve implementare misure di rotazione delle mansioni (job rotation) per evitare che lo stesso lavoratore sia esposto continuativamente allo stesso fattore di rischio per l’intero turno o per lunghi periodi. 

L’introduzione di ausili meccanici per il sollevamento (esoscheletri, manipolatori) e la riprogettazione ergonomica delle postazioni sono investimenti necessari per garantire la sostenibilità lavorativa. Inoltre, promuovere stili di vita sani e programmi di invecchiamento attivo (active ageing) aiuta a preservare la “workability”, riducendo l’assenteismo e garantendo la conformità agli obblighi di tutela dell’integrità fisica sanciti dall’articolo 2087 del Codice Civile.

Sicurezza lavoratori stranieri: dati INAIL e prevenzione

Sicurezza lavoratori stranieri: dati INAIL e prevenzione

La sicurezza lavoratori stranieri costituisce una sfida prioritaria per il sistema di prevenzione nazionale, richiedendo un approccio integrato che vada oltre la mera applicazione formale delle norme. Il Dlgs 81/2008, impone al datore di lavoro l’obbligo indelegabile di valutare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori (articolo 28), prestando particolare attenzione a quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari. In questo perimetro rientra la valutazione delle barriere linguistiche e delle differenze culturali, fattori che possono compromettere la comprensione delle istruzioni operative e della segnaletica di sicurezza.

L’articolo 37 del medesimo decreto specifica inoltre che la formazione e l’addestramento devono essere erogati in una lingua comprensibile al lavoratore, o attraverso modalità che ne garantiscano l’effettiva assimilazione. La mancata comprensione delle procedure di emergenza o delle modalità d’uso di un macchinario non rappresenta solo una lacuna formativa, ma si configura come una violazione strutturale degli obblighi di garanzia, esponendo l’azienda a responsabilità civili e penali in caso di infortunio.

Focus INAIL sulla sicurezza lavoratori stranieri e infortuni

L’analisi dei recenti dati statistici elaborati dall’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL) offre una fotografia nitida e preoccupante dell’incidenza infortunistica tra la popolazione lavorativa non italiana. Il rapporto evidenzia come la sicurezza lavoratori stranieri sia spesso compromessa da una maggiore esposizione a mansioni gravose e a basso contenuto specialistico, concentrate prevalentemente nei settori dell’edilizia, dell’agricoltura, della logistica e della metalmeccanica. I dati mostrano un trend in cui, a fronte di una ripresa occupazionale, corrisponde un incremento proporzionale degli infortuni denunciati per questa categoria, con indici di frequenza e gravità spesso superiori rispetto alla controparte italiana. 

Particolarmente rilevante è il dato relativo alle malattie professionali: si registra una crescita delle denunce per patologie muscolo-scheletriche (dorsopatie, tendiniti), strettamente correlate ad attività che richiedono sforzi fisici intensi e ripetuti. Tuttavia, emerge anche un fenomeno di possibile sottostima o ritardo nella denuncia, dovuto talvolta alla precarietà contrattuale o alla scarsa consapevolezza dei propri diritti sanitari e previdenziali, che ritarda l’accesso alle tutele assicurative.

Strategie di integrazione e formazione efficace

Le implicazioni operative per le imprese impongono l’abbandono di modelli formativi standardizzati in favore di strategie didattiche inclusive e verificate. Per garantire l’effettività della tutela, il datore di lavoro deve implementare misure organizzative che abbattano la barriera linguistica. L’utilizzo di segnaletica basata su pittogrammi universali, la traduzione delle procedure operative standard (POS) e dei manuali d’uso delle attrezzature nella lingua madre del lavoratore (o in una lingua veicolare realmente compresa) sono passaggi fondamentali. Inoltre, la formazione in aula deve privilegiare l’approccio pratico e visivo rispetto a quello teorico-frontale, prevedendo test di verifica della comprensione rigorosi che accertino non solo la presenza fisica al corso, ma l’acquisizione reale delle competenze. In contesti multietnici complessi, il ricorso a figure di mediazione culturale o a preposti con competenze linguistiche adeguate può fungere da ponte comunicativo essenziale. Investire nell’integrazione della cultura della sicurezza significa ridurre drasticamente l’errore umano causato da incomprensioni, migliorando il clima aziendale e riducendo i costi sociali ed economici derivanti dagli infortuni.

Antincendio boschivo: sicurezza nel luogo di lavoro

Antincendio boschivo: sicurezza nel luogo di lavoro

L’attività di antincendio boschivo pone sfide interpretative complesse riguardo l’applicazione del Dlgs 81/2008, specialmente nella definizione giuridica di “luogo di lavoro”. Sebbene l’articolo 62 del Testo Unico sulla Sicurezza definisca i luoghi di lavoro come gli spazi destinati a ospitare posti di lavoro, ubicati all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva, lo scenario di un’emergenza forestale sfugge a questa staticità strutturale.

Tuttavia, il quadro normativo vigente, integrato dalle disposizioni per le attività di protezione civile e soccorso, conferma che ovunque operi un lavoratore o un volontario equiparato, si applicano le tutele prevenzionistiche, pur con gli adattamenti necessari alle effettive necessità di intervento e salvataggio. Questo implica che il fronte del fuoco, le aree di atterraggio dei mezzi aerei, le zone di rifornimento idrico e le linee tagliafuoco sono a tutti gli effetti ambienti di lavoro temporanei e mobili. In tali contesti, la valutazione dei rischi non può essere un documento statico redatto a tavolino, ma deve evolversi in un processo di “valutazione dinamica”, capace di adattarsi in tempo reale al mutare delle condizioni meteorologiche, orografiche e dell’intensità dell’evento, garantendo sempre la priorità all’incolumità degli operatori rispetto alla salvaguardia del patrimonio boschivo.

Specificità tecniche dello scenario antincendio boschivo

La gestione operativa nell’antincendio boschivo richiede una riorganizzazione mentale del concetto di sicurezza, dove il “luogo di lavoro” coincide con lo scenario incidentale. A differenza di un cantiere o di una fabbrica, i confini di questo ambiente sono fluidi e il rischio principale, il fuoco, è un agente aggressivo e imprevedibile. Le procedure di sicurezza devono quindi focalizzarsi sulla definizione della catena di comando e controllo (Sistema ICS – Incident Command System) e sulla zonizzazione dell’area di intervento.

È fondamentale distinguere tra le zone operative calde (fronte di fiamma), dove possono accedere solo operatori muniti di dispositivi di protezione individuale (DPI) di terza categoria e specifica formazione, e le zone di supporto logistico o fredde. La norma impone che, anche in emergenza, vi sia una chiara identificazione delle vie di fuga e delle aree di sicurezza (safety zones) dove le squadre possono ripiegare in caso di comportamento estremo del fuoco (es. flashover o spot fire). La pianificazione deve includere la gestione delle comunicazioni radio, essenziali per il coordinamento tra squadre di terra e flotta aerea, la cui interruzione costituisce uno dei fattori primari di incidente mortale in questo settore.

Organizzazione, formazione e responsabilità della catena di comando

Le implicazioni pratiche per gli enti gestori e le organizzazioni di volontariato si traducono in obblighi formativi e di addestramento particolarmente rigorosi. Poiché non è possibile “bonificare” preventivamente il luogo di lavoro rappresentato dall’incendio, la sicurezza si basa quasi esclusivamente sulla competenza degli operatori e sull’idoneità delle attrezzature. Il direttore delle operazioni di spegnimento (DOS) assume un ruolo assimilabile a quello di un preposto o dirigente con elevate responsabilità decisionali: deve valutare costantemente se le condizioni di sicurezza permettono l’attacco diretto alle fiamme o impongono un approccio indiretto o difensivo.

L’obbligo di fornire DPI idonei non riguarda solo l’abbigliamento ignifugo, ma include dispositivi per la protezione delle vie respiratorie da fumi tossici e strumenti per la geolocalizzazione. Inoltre, la sorveglianza sanitaria deve tenere conto dello stress termico e fisico estremo a cui sono sottoposti gli operatori. La mancata applicazione di protocolli standardizzati e la carenza di coordinamento espongono i responsabili a gravi conseguenze civili e penali in caso di infortunio, rendendo indispensabile l’adozione di procedure operative standard (SOP) condivise e testate attraverso esercitazioni periodiche.

Dlgs 62/2024: rivoluzione disabilità e lavoro

Dlgs 62/2024: rivoluzione disabilità e lavoro

La gestione della disabilità e lavoro ha subito una profonda trasformazione normativa con l’entrata in vigore del Dlgs 62/2024, attuativo della legge delega in materia di disabilità. Questo provvedimento segna un cambio di paradigma storico, abbandonando la visione meramente sanitaria e assistenzialistica per abbracciare il modello bio-psico-sociale promosso dalla Convenzione ONU sui Diritti delle persone con Disabilità.

Il decreto ridefinisce la condizione di disabilità non più come una caratteristica intrinseca e statica dell’individuo, legata esclusivamente a una menomazione fisica o psichica, ma come il risultato dell’interazione tra persone con compromissioni e barriere comportamentali e ambientali che ne impediscono la piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri. Questa nuova prospettiva ha un impatto diretto sull’applicazione del Dlgs 81/2008, in quanto impone al datore di lavoro e al servizio di prevenzione e protezione di rileggere la valutazione dei rischi e la sorveglianza sanitaria non solo in termini di idoneità alla mansione, ma di compatibilità ambientale e inclusione attiva.

Nuovi criteri per disabilità e lavoro e classificazione ICF

Il cuore della riforma risiede nell’adozione delle classificazioni internazionali ICF (classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute) e ICD (classificazione internazionale delle malattie) dell’organizzazione mondiale della sanità come standard di riferimento per l’accertamento della condizione di disabilità.

Il Dlgs 62/2024 introduce una distinzione netta tra la “condizione di disabilità”, che è la risultante dell’interazione negativa con l’ambiente, e la “persona con disabilità”.

Viene superato il concetto di invalidità civile basato su tabelle percentuali di capacità lavorativa residua, introducendo una valutazione multidimensionale che considera il funzionamento della persona nei suoi vari domini di vita. In questo nuovo assetto, viene formalizzata la procedura per la definizione del “progetto di vita” individuale, personalizzato e partecipato, che deve integrarsi con le politiche di inserimento lavorativo.

La norma rimuove i riferimenti obsoleti (come “handicappato” o “persona handicappata”) sostituendoli con terminologie rispettose della dignità umana, e pone l’accento sulla necessità di rimuovere gli ostacoli che limitano l’attività e la partecipazione, spostando l’onere dell’adattamento dalla persona al contesto organizzativo e sociale.

Accomodamento ragionevole e impatto sulla sorveglianza sanitaria

Le implicazioni pratiche per le aziende sono rilevanti e richiedono un approccio proattivo nella gestione delle risorse umane e della sicurezza. Il concetto chiave introdotto e rafforzato è quello di “accomodamento ragionevole”, che diventa un obbligo giuridico per il datore di lavoro. Non è più sufficiente verificare se un lavoratore sia idoneo o meno a una mansione specifica; è necessario valutare quali modifiche organizzative, tecnologiche o strutturali possano essere implementate per consentire alla persona con disabilità di svolgere il proprio lavoro in condizioni di sicurezza e parità.

Questo investe direttamente il ruolo del medico competente, il quale, nella formulazione del giudizio di idoneità, dovrà tenere conto delle nuove definizioni e collaborare con l’azienda per individuare le soluzioni che abbattano le barriere. Il documento di valutazione dei rischi (DVR) dovrà recepire questa logica, analizzando come l’ambiente di lavoro possa essere adattato per valorizzare le capacità residue e garantire la tutela della salute, prevenendo ogni forma di discriminazione indiretta derivante dalla mancata adozione di misure di supporto adeguate e sostenibili.

Come possiamo aiutarti?