Nuovi standard ILO: tutela rafforzata contro i rischi biologici

Nuovi standard ILO: tutela rafforzata contro i rischi biologici

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) ha adottato la Convenzione n. 192 per fornire uno standard vincolante sulla protezione dei lavoratori esposti a rischi biologici. Il nuovo strumento normativo si innesta nel solco già tracciato dalla Convenzione ILO n. 155 del 1981 e dal relativo Protocollo del 2002, ampliandone l’ambito applicativo e aggiornando le misure di prevenzione alla luce dei più recenti scenari sanitari e lavorativi.

Con questa convenzione, l’ILO ribadisce il diritto fondamentale a un ambiente di lavoro sicuro e salubre, includendo esplicitamente la protezione dai rischi biologici, che risultano ormai centrali in molti settori, dalla sanità alla logistica, dall’agroalimentare all’industria.

Le basi normative che impongono l’adozione di misure efficaci

La Convenzione ILO 192 obbliga gli Stati membri ad adottare provvedimenti specifici di tutela per la prevenzione dell’esposizione a agenti biologici nei luoghi di lavoro. In Italia, tali obblighi si raccordano direttamente con il Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 81/2008), in particolare:

  • Articolo 15: definisce le misure generali di tutela, includendo la valutazione di tutti i rischi, anche quelli biologici.
  • Articolo 17: obbliga il datore di lavoro alla valutazione dei rischi e alla conseguente elaborazione del documento di valutazione (DVR).
  • Articolo 28: stabilisce che la valutazione dei rischi debba essere completa e documentata, includendo quelli derivanti da esposizione a agenti biologici.

La nuova convenzione amplia il campo d’azione delle norme esistenti, ponendo particolare attenzione alla prevenzione, alla sorveglianza e alla formazione dei lavoratori.

Cosa cambia con l’introduzione della Convenzione ILO 192

1. Una definizione estesa di rischio biologico

La convenzione fornisce una definizione dettagliata e aggiornata di agente biologico, includendo microrganismi come virus, batteri, funghi, parassiti, tossine prodotte da organismi viventi e nuovi agenti emergenti. L’obiettivo è garantire che tutte le possibili fonti di rischio vengano valutate e gestite in modo sistematico.

2. Obblighi stringenti di sorveglianza sanitaria e ambientale

Il datore di lavoro è chiamato a implementare procedure di monitoraggio continuo dell’ambiente di lavoro, sia per rilevare la presenza di agenti biologici sia per valutare la risposta dell’organismo dei lavoratori. Questo comporta la stretta collaborazione tra medico competente, RSPP e RLS.

3. Formazione mirata e permanente

La convenzione impone l’obbligo di erogare formazione specifica e aggiornata sui rischi biologici. I contenuti devono includere la modalità di trasmissione degli agenti, l’uso corretto dei dispositivi di protezione individuale (DPI), i protocolli in caso di esposizione e le misure di emergenza.

4. Adozione di misure tecniche e organizzative avanzate

Viene valorizzato il principio della gerarchia delle misure di prevenzione: in primis l’eliminazione o sostituzione del rischio, seguita da misure ingegneristiche (come sistemi di contenimento, ventilazione e filtraggio), procedure organizzative e infine l’uso dei DPI.

Implicazioni concrete per imprese e lavoratori

Le imprese sono chiamate a una revisione strutturale delle proprie misure di prevenzione:

  • Adeguamento del DVR: la valutazione del rischio biologico deve essere integrata in maniera specifica e puntuale nel Documento di Valutazione dei Rischi, in particolare quando si introducono nuove attività o processi che comportano esposizione.
  • Investimenti in sicurezza: saranno necessari adeguamenti infrastrutturali (es. impianti di aspirazione, barriere fisiche), aggiornamenti dei protocolli operativi e nuove forniture di DPI ad alta protezione.
  • Maggiori responsabilità organizzative: il datore di lavoro dovrà coordinare un’azione congiunta e continuativa tra medico competente, RSPP e rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, garantendo una gestione partecipata del rischio.
  • Benefici per la salute e la continuità operativa: una corretta gestione del rischio biologico consente di ridurre significativamente il numero di infortuni e malattie professionali, migliorando la produttività e limitando l’assenteismo.
Vigilanza sui lavoratori: preposto e datore di lavoro

Preposto e datore di lavoro: ruoli differenti, responsabilità simili nella vigilanza lavoro

Il tema della vigilanza lavoro e delle relative responsabilità è sempre più centrale nel contesto della sicurezza sul lavoro. L’evoluzione normativa e giurisprudenziale ha acceso un confronto concreto tra le figure del datore di lavoro e del preposto, soprattutto in merito all’obbligo di garantire il rispetto delle misure di prevenzione nei luoghi di lavoro. La questione principale riguarda la definizione dei confini tra il dovere di vigilanza del preposto e quello, più ampio e generale, del datore di lavoro, anche alla luce delle più recenti pronunce della Corte di Cassazione.

Cosa prevede il DLgs 81/2008 sul tema vigilanza sui lavoratori

La normativa di riferimento, il DLgs 81/2008, identifica con chiarezza i compiti del datore di lavoro e del preposto. In particolare:

  • L’articolo 18, comma 1, lettera b-bis impone al datore di lavoro di individuare il preposto per l’attività di vigilanza, formalizzandone la nomina per iscritto.
  • L’articolo 2 definisce il preposto come colui che sovrintende all’attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllando che vengano rispettate le norme di sicurezza e utilizzati correttamente i dispositivi di protezione individuale.
  • La responsabilità generale della sicurezza resta comunque in capo al datore di lavoro, che non può delegare gli obblighi fondamentali di valutazione dei rischi, organizzazione delle misure di prevenzione e garanzia delle condizioni di sicurezza.

La giurisprudenza chiarisce il perimetro della vigilanza del preposto

Negli ultimi mesi, la Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti sul ruolo del preposto, con particolare attenzione al concetto di “vigilanza continuativa”. Secondo i giudici, la vigilanza esercitata dal preposto deve essere “efficace e costante”, ma non si richiede una presenza fisica ininterrotta. È sufficiente che l’attività di controllo sia assidua e attenta, in particolare nelle fasi operative più critiche o a rischio.

La funzione del preposto, quindi, non è quella di un custode che osserva ogni movimento del lavoratore, bensì quella di un supervisore che interviene per prevenire comportamenti non conformi e che ha il potere – e il dovere – di sospendere l’attività qualora rilevi situazioni pericolose.

Importante è anche il principio secondo cui l’esistenza di un preposto non esonera il datore di lavoro dalle sue responsabilità. L’attribuzione del compito di vigilanza non equivale a uno scarico di responsabilità, ma deve essere vista come uno strumento operativo a supporto del sistema aziendale di prevenzione.

Implicazioni operative per le imprese: come organizzare la vigilanza

Le aziende devono riorganizzare internamente le procedure per garantire una vigilanza efficace e conforme alle disposizioni legislative e ai recenti orientamenti giurisprudenziali. In particolare:

  • Nomina formale e documentata: il preposto deve essere individuato tra i lavoratori realmente in grado di svolgere il ruolo, con atto scritto che ne attesti le responsabilità operative.
  • Definizione chiara dei compiti: all’interno dei documenti aziendali, in particolare nel DVR, devono essere precisati i compiti specifici del preposto, le modalità di intervento e le responsabilità in caso di inosservanze.
  • Formazione specifica e aggiornamento periodico: è fondamentale che i preposti siano adeguatamente formati, non solo in termini tecnici, ma anche in relazione agli aspetti giuridici e comportamentali connessi al loro ruolo.
  • Presenza proporzionata al rischio: la presenza del preposto deve essere maggiore laddove il rischio è più elevato. Ciò significa organizzare la vigilanza in funzione delle fasi lavorative e dei contesti operativi.
  • Coordinamento tra figure aziendali: la sicurezza è un processo partecipato. Preposto, datore di lavoro, RSPP, medico competente e RLS devono agire in sinergia per assicurare l’efficacia del sistema di prevenzione.

Benefici e criticità nella gestione della vigilanza

L’attribuzione chiara delle responsabilità tra preposto e datore di lavoro rafforza l’efficacia delle misure di prevenzione e aumenta la consapevolezza all’interno dei luoghi di lavoro. Tuttavia, vi sono alcune criticità da gestire:

Vantaggi:

  • Maggiore controllo sul rispetto delle norme di sicurezza.
  • Riduzione del rischio di comportamenti pericolosi.
  • Rafforzamento della cultura della prevenzione.

Criticità:

  • Possibili incertezze nella definizione dei ruoli se non formalizzati in modo chiaro.
  • Rischio di responsabilità mal distribuite se la formazione non è adeguata.
  • Necessità di rivedere i documenti aziendali in modo coerente e aggiornato.
Occhiali anti-luce blu al lavoro: tra moda e scienza

Occhiali anti-luce blu: DPI o accessorio senza reale efficacia?

Negli ambienti lavorativi dove si utilizzano intensivamente dispositivi digitali, cresce il ricorso agli occhiali con filtro anti-luce blu. Promossi come strumento per prevenire l’affaticamento visivo e migliorare la qualità del sonno, questi dispositivi sono sempre più diffusi anche tra i lavoratori. Tuttavia, la loro reale efficacia è oggetto di discussione scientifica. È quindi necessario valutare attentamente quando e come il datore di lavoro debba considerarli come dispositivi di protezione e quale ruolo possano avere nella prevenzione visiva.

Cosa dice la normativa: DPI o semplice accessorio?

La classificazione degli occhiali con filtro anti-luce blu dipende dalla valutazione del rischio. Secondo il DLgs 81/2008, in particolare agli articoli da 74 a 79, un dispositivo può essere considerato DPI se risponde a un rischio professionale non eliminabile con misure tecniche o organizzative. In tal caso, il datore di lavoro è tenuto a fornirlo, garantendone conformità ai requisiti di marcatura CE e sicurezza.

Il Regolamento UE 2016/425 conferma che i DPI devono essere impiegati solo laddove vi sia una reale esposizione a un rischio documentato e non gestibile diversamente. Pertanto, l’occhiale anti-luce blu può essere considerato un DPI solo se la valutazione dei rischi aziendali giustifica il suo utilizzo per prevenire effetti nocivi legati alla luce emessa dai dispositivi digitali.

Cosa dice la scienza: evidenze limitate sull’efficacia

Numerose ricerche scientifiche, tra cui studi clinici e revisioni sistematiche, mettono in discussione l’efficacia dei filtri anti-luce blu nel migliorare la salute visiva.

Una revisione su 17 studi clinici condotta da un team accademico internazionale ha rilevato che non ci sono prove solide che questi occhiali riducano l’affaticamento o migliorino la qualità del sonno nei soggetti sani. Allo stesso modo, le principali associazioni di oftalmologia sottolineano che non esiste una base scientifica per consigliare l’acquisto di occhiali con filtro blu per chi lavora al computer.

Anche gli studi di laboratorio che dimostrano danni cellulari da luce blu sono considerati poco rappresentativi della reale esposizione in ambito lavorativo. Infatti, la quantità di luce blu emessa da uno schermo è nettamente inferiore rispetto a quella naturale e non raggiunge livelli dannosi per l’occhio umano.

Utilizzo facoltativo e senza controindicazioni

Sebbene non ci siano prove di efficacia, l’utilizzo degli occhiali anti-luce blu non è controindicato. Molti lavoratori riferiscono soggettivamente un miglioramento del comfort visivo, soprattutto in presenza di illuminazione intensa o utilizzo serale dei dispositivi. In tali casi, l’effetto placebo potrebbe avere comunque un risvolto positivo sul benessere percepito.

È però fondamentale chiarire che il vero affaticamento visivo da videoterminale è spesso causato da una ridotta frequenza del battito palpebrale durante la visione prolungata di schermi, dalla postura scorretta o da una gestione inadeguata delle pause. Tutti elementi che non possono essere risolti dall’utilizzo di un filtro ottico.

Le misure realmente efficaci per tutelare la vista

In assenza di una reale utilità clinica degli occhiali filtranti, i datori di lavoro dovrebbero concentrare le proprie strategie di prevenzione su misure più efficaci e supportate da evidenze scientifiche. Tra queste:

  • Adozione della regola 20-20-20: ogni 20 minuti, distogliere lo sguardo dallo schermo per almeno 20 secondi, guardando a 20 metri di distanza.
  • Ottimizzazione dell’illuminazione dell’ambiente, evitando riflessi diretti sugli schermi.
  • Corretto posizionamento del monitor, a distanza e altezza adeguate.
  • Promozione di pause regolari durante il lavoro al computer.
  • Utilizzo delle modalità notturne o “dark mode” nei dispositivi, soprattutto in caso di lavoro serale.

Implicazioni per datori di lavoro e lavoratori

Per i datori di lavoro, è importante gestire correttamente la comunicazione e l’eventuale distribuzione degli occhiali anti-luce blu. Offrirli può rappresentare un’opzione aggiuntiva per i lavoratori che ne traggono beneficio soggettivo, ma non deve sostituire interventi strutturali più efficaci.

Nel caso in cui gli occhiali vengano forniti come DPI, è necessario garantirne la conformità alle normative europee, fornire istruzioni d’uso adeguate e inserirli nei programmi di formazione. In assenza di una reale esposizione documentata, invece, possono essere offerti su base volontaria, come strumento di benessere ma non come misura di protezione obbligatoria.

Il rischio architettonico: sicurezza ed efficienza degli ambienti aziendali

Il rischio architettonico: sicurezza ed efficienza degli ambienti aziendali

Il rischio architettonico riguarda il potenziale pericolo derivante dalle caratteristiche costruttive, d’uso e manutenzione degli edifici dove si svolgono attività lavorative. Elementi come spazio, illuminazione, microclima, materiali e percorsi possono influire sulla sicurezza fisica e psicologica dei lavoratori, integrandosi alle misure già previste dal Testo Unico nella valutazione dei rischi.

Le basi legali: l’ambiente costruito come fattore di rischio

Secondo il DLgs  81/2008, la valutazione dei rischi (art. 28) deve comprendere anche quelli derivanti dalla struttura edilizia. A questi si aggiungono le prescrizioni dell’UE (Regolamento 305/2011), che impongono ai fabbricati requisiti non solo di stabilità, resistenza al fuoco e sicurezza in uso, ma anche di salubrità e accessibilità per tutto il ciclo di vita dell’edificio.

Nuovo protocollo per la valutazione strutturale della sicurezza

È stato elaborato un protocollo operativo che adotta un approccio sistemico per mappare i fattori di rischio:

  1. Individuazione delle Key Performance Areas (KPA): quattro macro-dimensioni in cui organizzare l’analisi.
  2. Definizione dei requisiti connotanti per ciascuna KPA.
  3. Realizzazione di schede di rilevamento, distinte per scala: edificio nel suo complesso e singole unità spaziali.

Le quattro aree chiave del rischio architettonico

Sicurezza agli infortuni

Include tutti i pericoli legati a inciampi, cadute (a livello e dall’alto), urti, intrappolamenti, caduta di oggetti, impatti con veicoli, ustioni, folgorazioni e tagli.

Sicurezza al fuoco

Verifica l’efficacia dei sistemi antincendio, la stabilità in caso d’incendio, la percorribilità delle vie di fuga e le possibilità di intervento dei soccorsi.

Sicurezza statica

Controlla la capacità della struttura di resistere ai carichi, sia statici che dinamici, e alle sollecitazioni meccaniche.

Comfort

Valuta benessere termo-igrometrico, visivo, acustico, qualità dell’aria interna e impatto psicologico degli ambienti sull’utente.

Come funziona il sistema di controllo: le schede di rilevamento

Il protocollo impiega diverse schede per raccogliere dati:

  • Scala edificio: analisi globale delle strutture, delle pertinenze e dei percorsi.
  • Unità spaziale – tecnica: verifica degli elementi strutturali, finiture, impianti.
  • Unità spaziale – ambientale: controllo su comfort, spazi, microclima, illuminazione.

Ogni scheda è composta da indicatori specifici (circa 53 macro-fattori) per identificare condizioni di rischio e criticità.

Impatti pratici per le imprese

Le imprese sono invitate ad adottare un approccio strutturato:

  • Integrare nel DVR aspetti architettonici, tecnici e ambientali.
  • Predisporre schede di rilevamento per ogni area ed edificio.
  • Aggiornare i documenti ogni volta che cambia la struttura o la destinazione d’uso.
  • Coinvolgere professionisti (RSPP, strutturisti, esperti di comfort ambientale) per analisi multidisciplinari.
  • Promuovere investimenti su manutenzione, adeguamento impiantistico e miglioramento delle condizioni di benessere.

Opportunità e criticità del rischio infrastrutturale

Vantaggi

  • Migliore salvaguardia della salute e della sicurezza.
  • Riduzione dei rischi di infortunio e malesseri.
  • Ottimizzazione dell’ambiente di lavoro, con ricadute positive su produttività e benessere.

Criticità

  • Necessità di coinvolgimento tecnico-specialistico.
  • Investimenti in rilievi, adeguamenti e monitoraggio continuativo.
  • Complessità nella gestione di spazi eterogenei o più edifici.
Inserimento lavorativo dei disabili: il quadro legislativo

Inserimento lavorativo e disabilità: il quadro legislativo

In Italia, il collocamento delle persone con disabilità è regolato dalla Legge 12 marzo 1999, n. 68, e successive integrazioni. Queste norme promuovono l’inserimento e l’integrazione lavorativa attraverso l’attivazione di servizi mirati, strumenti di accompagnamento e finanziamenti dedicati. Il Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 151, ha semplificato le procedure e rafforzato l’approccio bio‑psico‑sociale nella valutazione delle diverse forme di disabilità.

Collocamento mirato: obblighi, quote e procedure

  • Imprese con oltre 50 dipendenti: quota obbligatoria pari al 7%
  • Aziende da 36 a 50 dipendenti: almeno 2 lavoratori
  • Aziende da 15 a 35 dipendenti: almeno 1 lavoratore

Tali obblighi si applicano sia nel settore pubblico che in quello privato e si calcolano considerando tutti i lavoratori assunti con rapporto subordinato, inclusi coloro già con ridotta capacità lavorativa accertata. Alcune categorie non sono invece computabili ai fini della quota, tra cui lavoratori a termine (durata ≤ 6 mesi), soci di cooperative, dirigenti, lavoratori a domicilio e somministrati.

Sospensioni ed esoneri parziali

L’obbligo può essere sospeso o parzialmente esonerato nei casi in cui le mansioni siano incompatibili con la disabilità o l’attività aziendale risulti pericolosa o eccessivamente faticosa. Tali situazioni devono essere documentate e valutate caso per caso.

Inserimento e avviamento: dal nominativo alla convenzione

Procedure di segnalazione

Il processo inizia generalmente con una richiesta nominativa o numerica agli uffici competenti. Se entro 60 giorni non viene trovato un candidato idoneo, si procede tramite graduatoria su base territoriale.

Tipologie di convenzioni disponibili
  1. Convenzioni ordinarie: stabiliscono tempi e modalità per l’inserimento e possono includere tirocini o contratti a termine con prove adeguate alla disabilità.
  2. Convenzioni di integrazione lavorativa: prevedono tutoraggio e sostegno specialistico per categorie con maggiore difficoltà di inserimento.
  3. Accordi con cooperative sociali: i datori affidano commesse a cooperative per l’inserimento delle persone con disabilità.
  4. Inserimento Temporaneo/Formativo: finalizzato all’acquisizione di competenze attraverso contratti o stage mirati.
  5. Inserimento tramite terzi: datori e cooperative stipulano accordi per l’inserimento mediato da terzi organizzativi.
Compatibilità e tutela occupazionale

Non è consentito richiedere al lavoratore disabile prestazioni incompatibili con le limitazioni accertate. In caso di aggravamento delle condizioni o modifiche organizzative, il lavoratore può richiedere la verifica di compatibilità e una sospensione del rapporto in caso di incompatibilità persistente. Se l’incompatibilità si confermasse definitivamente, il rapporto può essere risolto.

Incentivi economici a sostegno delle assunzioni

Le imprese che assumono lavoratrici e lavoratori con disabilità possono usufruire di incentivi contributivi significativi:

  • Dal 35 % al 70 % della retribuzione lorda ai fini previdenziali, a seconda del grado di invalidità e della tipologia contrattuale, per un periodo che può superare i 36 mesi.
  • Specifici incentivi per disabilità intellettiva o psichica fino al 70% dell’importo retributivo, estendibili fino a 60 mesi.
  • Bandi regionali e fondi dedicati finanziano tecnologie, telelavoro, formazione e rimozione di barriere architettoniche.
  • Contributi per enti del terzo settore che assumono giovani con disabilità, secondo disposizioni introdotte nel biennio 2022‑2023.

Ruoli e servizi di supporto all’inclusione

Centri per l’Impiego e servizi integrati

Il lavoratore disabile deve iscriversi nel collocamento mirato presso il Centro per l’Impiego, che gestisce le graduatorie e coordina il processo di assunzione.
Operatori specializzati svolgono preselezioni, supportano i datori di lavoro e accompagnano il lavoratore in un percorso personalizzato.

Disability manager e figure di accompagnamento

Il Decreto 11 marzo 2022 ha introdotto la figura del responsabile dell’inserimento lavorativo. Questa figura supporta l’adozione di adattamenti ambientali, individuato dal datore o dagli enti coinvolti nel progetto.

Servizi territoriale e cooperazione

Il sistema coinvolge istituzioni pubbliche, servizi sociali, sanitari, INAIL per l’accompagnamento tecnico‑professionale e il sostegno concreto all’inserimento.

Vantaggi, criticità e strategie operative

Trasparenza e inclusione
L’azienda con rigore nell’applicazione delle quote e nell’attivazione delle convenzioni promuove la parità di opportunità e rafforza la responsabilità sociale.

Sostegno concreto
Gli incentivi economici, uniti al disegno di percorsi personalizzati, sostengono stabilità occupazionale e reale autonomia lavorativa.

Complessità amministrativa
La gestione delle diverse tipologie di convenzioni, delle verifiche di compatibilità e delle domande di incentivo richiede competenza amministrativa e coordinamento strutturato.

Bisogno di figure dedicate
Presenza di disability manager e professionisti del collocamento garantisce il monitoraggio, l’efficacia e l’adeguatezza dei progetti di inserimento.

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